“Non so se tutti hanno capito Ottobre la tua grande bellezza: nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza”. Eh sì a volte ci vuole un poeta per capire, per sintetizzare in pochi versi i lunghi discorsi, i ragionamenti complessi fatti di venti subordinate e quattrocento parentesi. Ottobre sei il mese più bello: prepari mosto e prepari l’ebbrezza. Certo, poi ognuno ha il suo mosto e la sua ebbrezza. Prendete Guccini: quattro bicchieri di quello dell’Appennino per tirare tardi e aspettare mattino. Oppure don Camillo: un bicchiere di quello buono della Bassa per tirar su Peppone.



Ma non siam mica tutti così. C’è gente che si eccita dell’ebbrezza della marmotta. Vi spiego. Avete presente il film “Ricomincio da capo” dove il protagonista rivive ogni giorno la stessa scena? No ministro: non sono affetto da esterofilia linguistica o filmistica, ma mi sembrava brutto dire “la Candelora”. Ammesso che qualcuno lo capisse rischiavo una denuncia per offesa alla religione. Torniamo alla marmotta. A qualcuno di noi potrebbe sembrare una condanna, una disgrazia. Perché tale ci sembra il sapere ogni giorno che rifarai la stessa scena, che nulla cambierà, che mai una novità si introdurrà nella nostra vita. Per altri però…. Per altri è la felicità. L’ebbrezza appunto. Ecco arriva ottobre: nei tini l’uva si prepara, si abbellisce. E io tiro fuori l’eskimo (sempre per restare a Guccini, per chi non l’avesse capita, il quale però ne cantava con nostalgia non come dress code).



Sì: io Maurizio Landini, in arte ottobre (una volta rosso, ora rosso-nero con tendenza al grigio-nulla) appena arrivano i primi segnali autunnali mi picco di tirar fuori l’eskimo, o il cachemire, tanto è uguale, e mi avvio verso lo sciopero. Il mio è una sorta di richiamo della natura, l’ululato primigenio che ridesta in me antichi e mai sopiti, al limite nascosti, istinti primordiali. Quando sui monti colorati di rame calano nubi basse ecco che io, come il lupo mi ridesto, stiracchio le membra, guardo i lupacchiotti, annuso l’aria che comincia a farsi tersa e fredda, percepisco nel refolo di vento le peste della preda e parto in caccia. E mamma lupa Elly mi guarda orgogliosa: anche stavolta gli caverò il ragno dal buco e per stasera i lupacchiotti saranno satolli e soddisfatti.



Anche in questo 2024, maledetto dall’uomo con le guerre, la fame, le morti dei migranti, e benedetto da Dio per mille e più grazie, è arrivata l’italica marmotta. Certo la Candelora a ottobre non si era mai vista, ma, orsù, siamo nel terzo millennio dopo Cristo mica nel Pleistocene. Anche se probabilmente già nel Pleistocene Landini (perché un Landini ci doveva essere anche allora) organizzava il suo sciopero ottobrino: forse per protestare contro il costo delle clave o per il prezzo della carne di mammut. In ogni caso per invocare la caduta del Governo in carica in quella felice comune dei cavernicoli. Da allora la marmotta torna implacabile.

Lui, il Maurizio nazional popolare, non aspetta neanche di sapere il perché ma appena scade settembre il friccico lo piglia e si fa il suo bel sciopero generale preceduto da manifestazioni, mobilitazioni, dichiarazioni e via zionando. Oh: non che vi sia carenza di motivazioni. Dio solo sa quante siano le scuse che il Meloni governo gli procura: dai salari che non bastano alle tasse che aumentano alla produttività che diminuisce al Pnrr che diventa (e non suona più solo come) una pernacchia. Ma glie è che a lui, al Landini appunto, mica gli importa poi tanto delle motivazioni. Quelle si trovano sempre. Ma esse vengono dopo, tanto dopo, il sottile piacere di gustare ottobre e la sua grande bellezza: che non è il vino, ma la dichiarazione di sciopero generale “a muzzo”. Poi si vedrà.

Perché aspettare in fondo? Tanto la Uil seguirà (a prescindere, almeno in questa fase storica), e la Cisl… La Cisl andrà a vedere le carte, seguirà le trattative e, nella visione landiniana della vita, farà la figura di quella asservita al Governo di turno. Verrebbe da scrivere di Turno, se non fosse che la citazione virgiliana l’avrebbero capita in pochi e ci avrebbero accusato di orgoglio intellettuale (capirai: in quest’epoca dei social per i quali la lettera di Totò e Peppino alla Malafemmina equivale ai Promessi Sposi, basta evocare un nome strano per sembrare Kant!). Però davvero di Turno si tratta: il buon Maurizio e la boccheggiante Cgil sono ripartiti alla caccia del consenso populista (non popolare: ribadisco populista) nella speranza di fermare il tempo. In preda all’ira non si accorgono che i riti debbono rispettare il tempo: in qualche modo ricordano quei giapponesi che ancora anni fa si battevano nella giungla vedendo invasori dove ormai c’erano alleati.

Finirà come sempre: un teatrino delle parti con qualche piazza densa di contestatori e piena di pensionati e alcuni lavoratori, con i comizi urlati e sloganeggianti, esponenti di Governo che ne approfitteranno per sembrare capaci e intelligenti e membri dell’opposizione che si diranno d’accordo su tutto e su niente. Ognuno preda di slogan e parole, con la gente frastornata (tranne quelli che saranno in fila a causa dei cortei che invece saranno incazzati) e sotto il vestito niente. Perché minacciare uno sciopero generale senza aver nemmeno visto l’ombra di un contenuto? Non basta forse l’opposizione che sta facendo Giorgetti alle dichiarazioni dei suoi colleghi che promettono tagli di tasse e prebende a pioggia?

E se vi chiedete a cosa serve tutto questo, non mi resta che rimandarvi agli articoli usciti sul medesimo argomento negli autunni appena trascorsi: tanto nulla è cambiato, a dimostrazione che certe strategie sono frutto di una coazione a ripetere più che di una consuetudine a pensare.

Se poi non ci salvasse neppure la memoria allora, con Baudelaire, ascoltatemi ed enivrons-nous. Ubriachiamoci sì, ma di quel buon vino di cui sono pieni i tini grassi e non di discorsi vuoti e retorici.

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