Art e Patrick sono amici da sempre. Compagni di stanza, aspiranti campioni di tennis, spendono il loro tempo tra sogni, allenamenti di tennis e fantasie sessuali. I loro occhi cadono sulla giovane Tashi, emergente campionessa di tennis dal fisico scultoreo. Dopo un primo disperato e maldestro tentativo di seduzione, si ritrovano inaspettatamente in camera con lei, pronti a un triangolo amoroso dal finale aperto. Saranno amici e nemici, amanti e sposi, campioni e falliti. In una storia di vita e di seduzione, che si gioca sui campi da tennis.
Con Challengers si aggiunge un altro tassello nella tardiva filmografia di Luca Guadagnino da cui, ormai, ci si aspetta sempre un’ipotesi di capolavoro. Che non sempre gli riesce. Dopo l’inquietante esplorazione cannibale, che ci ha portato visceralmente nei territori della diversità e dell’emarginazione, il regista palermitano, ormai star internazionale, ci accompagna nel mondo dello sport. Siamo sui campi da tennis, con un tempismo miracoloso per noi italiani che abbiamo appena iniziato a spellarci le mani per il giovane Sinner. Ma cosa mai potrà interessare, a Guadagnino, di una storia sportiva?
Probabilmente poco o nulla. Dietro agli scambi concitati in campo, alle grida del pubblico, ai gesti tecnici degli atleti, perfezionati dai miracoli della post-produzione, troviamo un’altra scarnificante storia di seduzione. Una sfida di corpi e di sensi che si allarga oltre al rettangolo di gioco, tra le camere di albergo, le pause riposanti e gli incontri rubati al palcoscenico.
Va in scena un morboso e instancabile gioco di potere, guidato dalle più intime regole infrante dell’amicizia, dell’amore e del sesso. Il corpo di Zendaya è saccheggiato dagli occhi di due amici fraterni, pronti a condividere lo scalpo del loro sogno erotico. Ma la storia, alla fine, è tutt’altro che un facile triangolo amoroso.
Guadagnino costruisce l’epica sportiva, cancellando il silenzio sacrale in campo, con la musica pompata a tutto volume, che pulsa al ritmo delle emozioni. Ci mostra la fragilità delle relazioni, la grammatica dei bisogni impronunciabili e l’instancabile ricerca dell’equilibrio di sé nell’altro.
È un bel film sull’amore utile, frustrante e inesauribile. Che parte adolescenziale, con l’ingenuità dei vent’anni, per trasformarsi in una guerra esistenziale senza esclusione di colpi. Una guerra spietata. Mentale. Corporea. Infinitamente sensuale e sessualmente appagante.
Challengers ha un ritmo competitivo, uno stile impeccabile, attori perfettamente a fuoco e una regia più che ingombrante che alla fine restituisce qualità. Ancora una volta Guadagnino ci stupisce parlandoci di umanità, attraverso la storia che gli è “capitata tra le mani”, scritta dal drammaturgo americano Justin Kuritzkes.
Il tennis c’entra poco. È solo il palcoscenico di un lungo rapporto sessuale immaginato e sotto gli occhi di tutti. Del pubblico sulle gradinate, che guarda la velocità della palla e i gesti atletici dei campioni, e quello al cinema, che vede molto ma molto di più.
Challengers, alla fine, è un thriller dei sentimenti, aperto all’amore plurale. Un catechismo delle relazioni amorose che allena all’inaspettato, con un finalone da applauso. Un gioco, reale ed emotivo, che trasforma il tennis in vita e la sfida dei corpi in un sottile gioco di potere. Proprio come nel tennis giocato.
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