L’industria italiana è, in gran parte, fatta di cognomi. L’alimentare per esempio: dietro Barilla, Ferrero, Rovagnati, Ambrosi, Beretta – tanto per citarne alcuni – troviamo famiglie e storie che hanno fatto grande l’Italia. Generazioni e generazioni che si sono alternate alla guida delle aziende facendole crescere e prosperare. Con alcune eccezioni naturalmente. Ma qui entrano in gioco dinamiche familiari molto complesse.
Ricordo il caso di una grande azienda italiana. Il padre aveva ereditato la società dal nonno e l’aveva fatta crescere negli anni. Aveva due figli, un maschio, il maggiore, e una femmina. Sul primo erano appuntate tutte le aspettative della famiglia. Ma prima di nascere era già viziato, figurarsi dopo. Al compimento dei 18 anni, il regalo di compleanno fu una splendida Porsche Carrera. Chissà il resto… Il ragazzo era un tipo attivo. Crescendo lo divenne sempre più. Si era lanciato nel mondo delle regate d’altura e, per questo hobby, spendeva circa un miliardo di vecchie lire l’anno. Era sposato, ma amava l’avventura. Una sera lo beccarono, in azienda, mentre si faceva la segretaria. Per fortuna c’era la sorella. Che, a un certo punto, lo liquidò e salvò l’azienda.
Tutto questo per sottolineare un dato importante: inutile lamentarsi del figlio o della figlia pirla. Domandiamoci invece: come li abbiamo cresciuti? Che educazione gli abbiamo dato? Quali i valori di riferimento?
Fare i genitori e gli amministratori delegati di un’azienda dunque è difficile. Ma bisogna saper distinguere i ruoli. Da una parte il padre e la madre, dall’altra l’imprenditore. Chi li ha confusi ha fatto del male a sé, ai suoi figli e all’azienda. Parliamoci chiaro: nessuno vieta che il proprio figlio (ma l’esempio si potrebbe traslare anche per la figlia) possa entrare in azienda per proseguire il lavoro svolto dal padre. Ma quest’ultimo dev’essere talmente intelligente da comprendere che se il ragazzo non è adatto a quel compito, occorre fare un passo indietro. E qui la mamma gioca un ruolo fondamentale. Saper riconoscere il limite del proprio figlio diventa un’operazione dolorosissima. Ma doverosa.
Non parliamo poi delle cordate familiari. Laddove in azienda s’introducono nipoti, generi e nuore. In questi casi solo un’autorità assoluta e riconosciuta da tutti fa la differenza. Altrimenti è il caos. E il fallimento dietro l’angolo.
Vale la pena aggiungere un’altra figura in questo contesto: quella del padre-padrone. Quello che sa tutto lui, è più bravo lui e decide tutto lui. I figli? Devono solo obbedire e combattere. Quando mi sento dire da uno di quarant’anni, a fronte di un investimento pubblicitario di 10-15.000 euro: “Devo parlare con papà”, mi cadono le braccia. Ma quando saranno autonomi questi ragazzi?
Permettetemi poi, da nonno con molti capelli bianchi, di dare qualche piccolo consiglio ai papà imprenditori. Il primo è che un figlio, in azienda, prima di comandare, deve imparare a obbedire. Per questo un periodo di lavoro presso altri, partendo dal gradino più basso, è auspicabile.
Il secondo consiglio è quello dell’umiltà. Nessuno nasce “imparato”, per questo occorre avere un sacro rispetto per chi lavora da più tempo in azienda. I consigli e le osservazioni di un dipendente, magari anziano, valgono oro.
Occorre poi avere passione. Sembra banale ma non lo è. Quante volte ho visto ragazzi molto intelligenti che, relegati in un ruolo che non era il loro, stavano soffrendo. La passione per il lavoro è come il coraggio per Don Abbondio: “O ce l’hai, o non ce l’hai”. Per questo è fondamentale che il lavoro piaccia. Altrimenti se è un peso, meglio andare a fare altro.
Da non dimenticare, la questione orario. L’imprenditore alza la claire (la saracinesca in brianzolo) la mattina e l’abbassa la sera. Il figlio che pensa alla sua vita ritmata dall’orario del ragioniere, lasci perdere. Per l’imprenditore le ore non si contano.
C’è poi la nuora. Qui non si può sbagliare. Se comincia a rompere le palle: “Ecco guarda tua sorella, lavora meno di te. Ti pagano poco per quello che fai. Non sei considerato. Tu vali di più”, è finita. La divisione netta dei ruoli rappresenta la regola aurea per una conduzione lineare dell’azienda. Altrimenti il rischio del nuoricidio è dietro l’angolo.
Da ultimo permettetemi di citare sant’Ambrogio, vescovo di Milano. Una predica, scritta nel 380, che tutti i genitori dovrebbero imparare a memoria: “Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri. Basterà che sappiano amare il bene, guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna. Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro. Siate fieri che vadano incontro al domani con slancio anche quando sembrerà che si dimentichino di voi… Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e la stima che voi avete di loro. Più di mille raccomandazioni soffocanti saranno aiutati dai gesti che vedranno in casa (o al lavoro, ndr): gli affetti semplici, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio delle passioni, il gusto per le cose belle e l’arte, la forza anche di sorridere”.
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