Che cosa succede agli artisti, quando smettono di creare? Sembra essere questa la domanda da cui parte la storia di Bernadette Fox, la protagonista del film di Richard Linklater Che fine ha fatto Bernadette? Architetto geniale e imprevedibile, Bernadette (Cate Blanchett) ha conosciuto il grande successo in gioventù, ma anche un plateale fallimento, dopo il quale ha deciso di lasciare Los Angeles, dove viveva, per Seattle, al seguito del marito Elgie (Billy Crudup) che ha ideato un progetto hi-tech acquisito dal gigante Microsoft. La troviamo qui, in una delle città più piovose degli Stati Uniti, in una vecchia casa bizzarra e decadente, ma a suo modo bellissima, con un giardino incolto e le piantine che spuntano nel pavimento. E la casa stessa è metafora della protagonista, che mal si adatta alla vita di Seattle e sceglie di isolarsi dal mondo, protetta da un paio di occhiali scuri e da un atteggiamento ostile nei confronti dei vicini.
Elgie, che l’ha sempre sostenuta, comincia a dare segni di insofferenza mentre Bee (Emma Nelson), la figlia tredicenne, difende la madre a spada tratta. Intelligente, acuta e sensibile, Bee comprende la natura peculiare di Bernadette e sembra leggerle nel pensiero. Questo legame speciale si dimostrerà molto utile nel momento in cui la donna, sull’orlo di una crisi di nervi, partirà per l’Antartide da sola e si ritroverà a navigare in mezzo ai ghiacci, nel luogo dove mai avrebbe pensato di andare.
Il film, basato sul romanzo epistolare di Maria Semple, racconta in primo luogo il percorso di una donna che, a un certo punto della vita, è costretta a fare i conti con se stessa e il caos che ha dentro. Bernadette ha smesso di creare e si è nascosta in un guscio, confidando nell’amore del marito e della figlia; quando però tutto sembra crollarle addosso, deve affrontare il mondo esterno e accettare il cambiamento, per trovare il modo di andare avanti. Ed è questo l’aspetto più interessante del film, esaltato dalla bravura di Cate Blanchett: una creativa in crisi che, dopo anni di vuoto, ritrova la scintilla che le accende l’anima. In secondo luogo, Che fine ha fatto Bernadette? esplora il tema della famiglia, dei rapporti che mutano e si logorano con il tempo, ma che possono essere riaggiustati se l’amore è ancora forte. Nella trama si intrecciano poi la riflessione ecologista e l’accenno al mistero della fuga, che in realtà non viene sviluppato come ci si potrebbe aspettare.
Per apprezzare il film di Linklater bisogna quindi dimenticare le regole classiche e accettare l’imperfezione, perché la storia prende direzioni diverse e talvolta assomiglia a un miscuglio di generi e temi, proprio come la casa di Bernadette. Eppure è un miscuglio affascinante, dominato dalla domanda su come una donna possa trovare una dimensione nuova e appagante anche quando il suo “momento d’oro” sembra finito da tempo. E il fatto che questa dimensione riguardi la creatività rende la storia ancora più interessante, perché, per una volta, non riguarda il giovane talento che inizia una luminosa carriera, bensì l’adulto che, dopo avere attraversato la fase buia del fallimento, trova una via per ricominciare.
L’ambientazione rispecchia bene l’anima del film, con la singolare dimora della protagonista isolata dal cuore cittadino, la pioggia opprimente che sembra anticipare la tempesta emotiva e, infine, la meraviglia dei ghiacci, simbolo di una dimensione nuova, pura, dove è possibile mettersi alla prova, ricostruire e ricominciare. È proprio nel luogo più isolato del mondo che Bernadette recupera il rapporto con se stessa e con la famiglia: a volte è necessario allontanarsi per aprire gli occhi e riscoprire il coraggio, l’amore e l’energia che le difficoltà della vita non possono, né devono, soffocare.