Sono passati otto anni circa ma quelle parole continuano a girarmi in testa: “based on lies”, basato sulle menzogne. Allora, era il 2102, ancora non si parlava di fake news come lo si fa oggi, ma i Cheap Wine vi dedicarono un intero disco. Non solo manipolazione dei media, naturalmente, ma manipolazione di ogni cosa. Oggi che appare evidente a chiunque ha un po’ di cervello che la tecnologia, il mondo virtuale, sono grandi “inghiottitoi”, armi di distruzione di massa dei cervelli, “based on lies” rimane la grande inquisizione profetica di un gruppo di musicisti di Pesaro. Rimane anche un grande disco rock, come tutti quello dell’ormai lunga discografia dei Cheap Wine, a cui si aggiunge adesso il nuovo “Faces”.



Nel nuovo lavoro i Cheap Wine rimangono fedeli al loro impegno, quello di portare nelle canzoni la realtà in cui siamo affossati: “I personaggi di Faces (…) si sentono fuori posto, non capiscono la realtà che li circonda. Si guardano attorno attoniti. Imprigionati in un ruolo che non li rappresenta sbattuti all’interno di un copione del quale avvertono l’ipocrisia senza senso (…) La vita si complica fra sensi di colpa e sguardi ostili” dicono loro stessi. Ma davanti a questo quadro disperante, c’è la possibilità di fuggire. Soprattutto di tornare a guardarsi in “faccia”: “Ogni faccia, alla fine, ha bisogno di qualcuno che la guardi negli occhi”.



Dopo alcuni album per così dire sperimentali, in cui il gruppo ha esplorato percorsi affascinanti, onirici, quasi prog, tornano con un disco che allarga ancora il loro spettro musicale, pur rimanendo fedeli alle loro radici rock underground. E’ questa continua evoluzione, questo esplorare un ambito che di per sé è ristretto, quello del rock, che li fa apprezzare. Mai domi, sempre a caccia di nuove sensazioni. L’impressione è quella di trovarsi, questa volta più che mai, a una concezione di concept album che richiama, non musicalmente ma nello spirito, grandi dischi analoghi del Fabrizio De André degli anni 70, opere rock più che un contenitore di canzoni. Sono i testi naturalmente a legare il tutto, il viaggio di un uomo qualunque, che dalle macerie della nostra civiltà scorge piano piano una luce a cui affidarsi, pronto a riprendere in mano la sua vita.



Made to Fly apre il disco con un riff nervoso e molto new wave, geometrico e implacabile, fino all’esplosione di un potente assolo psichedelico garage, come loro attitudine. La successiva Head in the Clouds si appoggia su una chitarre acustica incisiva e una melodia piena di mestizia: disinteresse, alienazione, fino al nuovo assolo di chitarra elettrica urticante ed esplosivo. The Swan and the Crow dimostra la voglia del gruppo di non fossilizzarsi, i sintetizzatori in primo piano rimandano a certe prog italiano anni 70. Altrove riemerge l’amore primigenio del gruppo, come nelle belle e rolingstoniane  The Great Puppet Show e Disguise mentre Misfits concede un attimo di pausa con il suo piacevole andamento quasi country rock.

E’ forse la cupa, avvolgente e psichedelica Princess il brano più intenso del disco mentre la conclusiva New Ground è un raggio di sole dopo una notte da incubo.

I Cheap Wine si dimostrano il gruppo italiano maggiormente capace di raccontare la storia che viviamo, e le loro canzoni ne sono efficace colonna sonora.