E’ trascorso un anno dal terribile incidente sugli sci ma Giancarlo Morelli, chef stellato, ricorderà per sempre quel 9 gennaio 2020 perché è il giorno in cui “mi si è fermata la vita”. Oggi ne parla al Corriere della Sera ma quella mattina di un anno fa Morelli fu trovato sulla Boè, a Corvara “accartocciato sulla transenna a fondo pista, sanguinante, con una frattura esposta alla gamba sinistra, il casco divelto, le prime tre vertebre del collo rotte”. Del drammatico incidente ammette di non ricordare nulla al punto da dichiarare: “Mi manca un pezzettino di me stesso: non ricordo la caduta né la discesa precedente. So solo che quello, per me, è un falsopiano facile, perché è dove mio padre mi portava a sciare da bambino”.



Dopo quell’evento la sua vita è completamente cambiata ed oggi lo chef bergamasco descrive la sensazione provata come se si fosse ritrovato completamente senza vestiti addosso, supportato solo dagli amici e dalla famiglia. Amante delle esperienze al limite, lo chef ha sempre vissuto intensamente ogni minuto della sua vita. il giorno precedente all’incidente era arrivato in Val Badia dopo essere stato nel Mar dei Caraibi. La mattina dell’incidente si trovava insieme al maestro Claudio Tiezza. Dopo aver fatto un paio d’ore di discese “gli ho chiesto di deviare verso la Boè per l’affetto che nutro verso quella pista. Devo essere svenuto prima di cadere perché ho sbattuto a peso morto. Ricordo solo il vociare dei soccorritori […] Poi l’elicottero, il dolore nonostante la morfina”.



CHEF GIANCARLO MORELLI E L’INCIDENTE SUGLI SCI DI UN ANNO FA

A causa dell’incidente sugli sci lo chef Giancarlo Morelli fu trasportato in ospedale a Bolzano e sottoposto ad un intervento di nove ore. “Oggi ho sei chiodi di titanio nel collo e cinque tra il ginocchio e il piede. Per un millimetro non è uscito il midollo, altrimenti adesso sarei paraplegico, oppure morto”, racconta al Corriere. Qualcuno potrebbe parlare di miracolo. Lui però, pur venendo da una famiglia contadina clericale non è praticante ed ammette: “Credo nell’uomo più che nei miracoli. E il dottor Broger e il suo team hanno protetto la mia vita come se fosse la cosa più importante che avevano da fare”. I successivi 4 mesi di riabilitazione li ha trascorsi in una clinica mentre fuori esplodeva la pandemia da Covid. Morelli ha ammesso di averla vissuta marginalmente anche se l’isolamento nelle sue condizioni è stato difficile da affrontare: “Non camminavo, non parlavo, per sei settimane ho visto doppio: il cervello doveva rimettersi in asse”, eppure al suo fianco c’erano gli amici e la sua famiglia.



“Ora sto meglio, però continuo la psicoterapia: la cosa più dura è allontanare dalla testa l’odore della fine della vita. Un misto tra un pezzo di carne tolto dal sottovuoto e il mercurio cromo”, dice. Oggi Morelli prende ciò che gli è accaduto “come un lezione”. Ha compreso ciò che conta realmente nella vita ed allontanato ogni stupidaggine: “Ora mi sento liberato”, ammette. E per quanto riguarda gli sci: “Per rispetto di chi mi ha salvato non li ho ancora rimessi. Ma forse, un giorno…”.