La prima impressione sgradevole che lascia Cherry, il nuovo film dei fratelli Russo disponibile su AppleTv+, è che sia stato realizzato per “lavarsi la coscienza” agli occhi di Hollywood per aver realizzato alcuni dei più grossi successi commerciali degli ultimi anni, come i due recenti capitoli degli Avengers (Infinity War ed Endgame) e di Capitan America (Winter Soldier e Civil War). Perciò hanno deciso di realizzare una drammatica storia di traumi bellici e tossico-dipendenza senza avere però bene idea di come fare.



Il protagonista è Tom Holland nel ruolo di un ragazzo che perde la testa per una compagna di studi (Ciara Bravo) e che decide di arruolarsi quando lei sta per trasferirsi a Montreal a studiare. Quando torna dopo aver servito in Medio Oriente lei è tornata per stargli accanto, ma lui ha un pesante disturbo da stress post-traumatico che lo porterà a drogarsi, assieme a lei che decide di accompagnarlo per essergli accanto.



Le sceneggiatrici Angela Russo-Otstot (sorella dei registi) e Jessica Goldberg hanno adattato un romanzo di Nico Walker per dare la possibilità ad Anthony e Joe Russo di poter realizzare praticamente tre o quattro film in uno girando attorno ad alcuni classici del cinema Usa degli anni ’70 e ’80 di cui Cherry vuole sembrare un compendio, anche se più spesso assume i toni di una parodia.

Parte come un dramma urbano, diventa un film bellico, si trasforma in un film sulla droga e le sue conseguenze decidendo coscientemente di ammiccare a modelli altissimi, bel conficcati nell’immaginario popolare: ci sono Il cacciatore, Full Metal Jacket, Apocalypse Now, Panico a Needle Park e non sono semplici omaggi o citazioni, sono prelievi forzosi che nelle loro mani però cambiano di tono, si depotenziano, diventano quasi burlette. Il film di Kubrick è praticamente rifatto con lo schermo ridotto e i grandangoli come fece il maestro, dell’ultimo film citato (in originale diretto da Jerry Schatzberg) il finale è copiato senza ritegno come pure l’andamento della tossicomania e via dicendo, c’è pure la famosa inquadratura degli elicotteri in volo del film di Coppola. 



Il problema è che questo polpettone romanzesco ed enfatico, con la voce off di Holland che per almeno metà film ridonda le immagini, non trova mai lo stile giusto per raccontare ogni singolo frammento e mostra lo sforzo che i Russo fanno per farsi “promuovere” dai cinefili seri, come se fossero tutti compiti in classe da portare a un professore, sempre sopra le righe, sempre a dover cercare l’idea di regia e messinscena che possa colpire, scioccare, farsi ricordare (incredibile l’inquadratura dall’interno dell’ano di Holland durante una perquisizione) senza che nessuna di queste scelte dia forza e senso al racconto. Anzi, il modo in cui lavorano le immagini e con le immagini mette tutto in burletta, rende il film una pantomima grottesca più o meno volontaria che depotenzia il senso drammatico del racconto, affidato esclusivamente agli attori, bravi, ma in più di un’occasione diretti male.

Così, quando si arriva al finale, piuttosto bello, si è sfiancati, sfibrati, si fatica a credergli, a dare fiducia a quel ralenti di cui abbiamo visto un’altra ventina di inutili tentativi. E d’altronde come ci si può fidare, prendere sul serio e accettare di empatizzare con un film in cui i nomi delle banche rapinate sembrano usciti da Mel Brooks (Shitty Bank, Banks Fuck America, Credit None)? È una delle infinite cadute di stile, o di semplice tono sbagliato, di un film che gli stili prova a rincorrerli tutti senza successo, come se il racconto di una storia non bastasse a chi deve scontare il “peccato” di essere diventati registi di supereroi.

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