I Cor Veleno saranno parte della grande festa prevista per il Concerto del 1 maggio 2024 e forse a qualcuno è sfuggito quanto il loro apporto al mondo della musica, soprattutto negli anni novanta e i primi anni duemila, sia decisamente degno di nota. Il mondo del rap e il loro habitat naturale; dall’underground a sfumature più contemporanee hanno impressionato nel tempo per gusto ed estro. La formazione iniziale – risalente al 1993 – vedeva i soli Primo Brown e Grandi Numeri, poi raggiunti alcuni anni dopo da Detor prima che lasciasse il posto a Squarta.



Diversi album all’attivo, altrettanti singoli di successo; la consacrazione dei Cor Veleno è però da attribuire al 2005 quando per la prima volta un gruppo rap italiano viene invitato allo Splash Festival in Germania. Di recente la band fondata da Primo Brown e Grandi Numeri è tornata alla ribalta con un nuovo progetto discografico; lo scorso 15 marzo hanno infatti lanciato il nuovo album “Fuoco Sacro” anticipato dai singoli La Novità, Comfort Zone e Pallottole sull’amore.



Grandi Numeri dei Cor Veleno: “Non abbiamo condannato il cinema, perché farlo con la musica?

Intervistati da Vanity Fair, i Cor Veleno hanno offerto la propria visione della musica con un parallelismo tra passato e presente oltre che a proposito dei preconcetti che spesso aleggiano sul contesto rap. “Quando ho cominciato pensavo che sarebbe stato difficile, invece è venuto naturale; perchè crescendo, almeno io, non ho mai perso la rabbia”. A parlare è Grandi Numeri – all’anagrafe Giorgio Cinini – che ha poi spiegato: “Il rap è ‘sacro fuoco’: una vocazione che dà senso alla vita, ai ragazzi di ieri come a quelli di oggi che vogliono raccontarsi…”.



Grandi Numeri dei Cor Veleno ha poi argomentato a proposito dei cambiamenti del rap italiano a ridosso del tempo. “Da una parte il non essere emarginati ha allentato la tensione, c’è meno militanza, meno lotta per essere i più duri e pur in circolazione. Il fatto che ora ci siano tanti ragazzi patiti ne amplifica le possibilità”. Il cantante si è poi espresso a proposito del presunto essere ‘diseducativi’ dei rapper: “Raccontano ciò che vedono; e come tutte le forme d’arte non hanno la responsabilità di educare. Non abbiamo condannato il cinema che racconta la vita dei malavitosi, perché farlo con la musica? La responsabilità di educare è dello stato, ma la politica evidentemente non ci riesce. Così ogni volta che succede qualcosa, scarica la colpa su di noi”.