Chi è Franco Ferracuti e ruolo nel caso di Aldo Moro

Franco Ferracuti, psichiatra forense e criminologo autore di importanti perizie psichiatriche nel corso della sua carriera, sarebbe stato chiamato da Francesco Cossiga per far parte del comitato di consulenti del Ministero dell’Interno durante il sequestro di Aldo Moro, lo statista democristiano rapito e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978. Nato nel 1927 a Montottone, nelle Marche, è morto a Roma nel 1992 all’età di 65 anni e a lungo è stato docente ordinario di Psicopatologia forense all’Università La Sapienza.



Nella storia di Franco Ferracuti l’incarico, assunto nel marzo 1978 subito dopo il rapimento del presidente della Dc, di consulente parte del “Comitato degli esperti” costituito dall’allora titolare del Viminale, Francesco Cossiga. Il suo ruolo sarebbe stato quello di decifrare il significato delle lettere di Aldo Moro e dei messaggi dei terroristi. Secondo il ritratto del suo percorso fatto da Repubblica, Franco Ferracuti Sempre sarebbe poi diventato collaboratore del Sisde e avrebbe dipinto così il suo impegno: “Ero incaricato dei rapporti con l’ambasciata americana e di conseguenza incontravo agenti della Cia e dell’Fbi…”. Nel 1980 sarebbe entrato a far parte della loggia massonica P2 di Licio Gelli.



Franco Ferracuti, la storia e il sequestro di Aldo Moro

Il 16 marzo 1978 Aldo Moro fu rapito da un commando di terroristi che, in un agguato consumato in via Fani, a Roma, trucidarono la sua scorta. Seguirono 55 giorni di prigionia in cui lo statista democristiano, ostaggio delle Brigate Rosse, inviò decine di lettere. L’allora ministro dell’Interno, Francesco Cossiga, destinatario di una drammatica lettera dalla prigionia, avrebbe così riunito un singolare gruppo di “esperti” per capire come muoversi, tra questi anche il noto crimonologo con alle spalle importanti perizie psichiatriche in casi non proprio ignoti alle cronache.



Gli scritti di Aldo Moro avrebbero aperto diversi interrogativi in ordine all’autenticità di alcuni dei pensieri rappresentati e alla libertà della sua penna durante il sequestro. È allora che, nella lettura degli eventi, si sarebbe insinuata l’ipotesi di “un processo di identificazione con il proprio aggressore” durante la prigionia dello statista, di una “sindrome di Stoccolma” per cui, sotto forte pressione psicologica, la vittima paradossalmente nutre un sentimento positivo verso gli aguzzini. Alcuni di questi sarebbero stati i sospetti avanzati dal criminologo Franco Ferracuti, spiega Repubblica, mentre nel Paese insisteva il dibattito tra chi voleva la fermezza e chi la trattativa con i brigatisti. Una battaglia intestina alla politica che si sarebbe conclusa con l’epilogo atroce di quel sequestro: Aldo Moro ucciso, il suo cadavere nel portabagagli di una Renault 4 in via Caetani il 9 maggio 1978.