Mina Settembre ci racconta una storia vera che permetterà di approfondire il ruolo dell’assistente sociale che è sempre molto trascurato. Personaggi eccezionali e con una devozione incredibile sono spesso protagonisti all’interno di realtà difficili da accettare. E questo ce lo racconta proprio il personaggio interpretato da Serena Rossi che riesce a disinnescare situazioni complesse e che dimostra un’umanità incredibile. Grazie alla serie tv riusciremo così a ottenere maggiori spunti di riflessione non di poco conto all’interno di un momento reale tratto dal romanzo di Maurizio De Giovanni. Anche se non troveremo tutti gli eventi in maniera precisa rispetto alla storia vera avremo un racconto molto dettagliato di momenti di vita reale e di situazioni che riguardano un mondo fin troppo sconosciuto in questo momento.



L’assistente sociale dietro al personaggio di Serena Rossi

Mina Settembre è la miniserie che torna oggi, 18 gennaio, su Rai 1 e che è tratta da una storia vera. A dire il vero il personaggio interpretato da Serena Rossi non si riferisce propriamente a una persona, ma è il contesto in cui nasce la serie che ci porta indietro nel tempo. Maurizio De Giovanni, autore dei libri da cui questa è tratta, nel 2011 seguì la situazione legata al Maschio Angioino, il castello medievale di Napoli. Alcuni operatori sociali occuparono per protesta contro i tagli al settore. Fu minacciata l’occupazione a oltranza fino a che il Presidente della Regione Campania non si fosse mosso per risolvere tutto.



Mina Settembre, la storia vera: ecco l’evoluzione

Mina Settembre è un’assistente sociale e la sua storia prende spunto da fatti realmente accaduti. Tra scioperi della fame, occupazioni e proteste la situazione fu decisamente complicata nel 2011 a Napoli. Maurizio De Giovanni diede vita ai romanzi che hanno portato alla serie tv per cercare di mandare un messaggio molto importante. Lo scritture seguì tutte le evoluzioni della vicenda con la possibilità di ascoltare le condizioni di lavoro in cui gli operatori sociali erano costretti a vivere. Un’ingiustizia se si considera la loro solida importanza all’interno del tessuto sociale e il loro modo di occuparsi sempre e comunque degli altri.

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