Patrizio Peci fu il primo collaboratore di giustizia delle Brigate Rosse. L’uomo pagò cara la sua scelta di raccontare alle forze dell’ordine ciò che accadeva all’interno dell’organizzazione terroristica, di cui aveva fatto parte per circa quattro anni. Il fratello minore Roberto infatti fu catturato, sequestrato per quarantacinque giorni come Aldo Moro (di cui proprio i dettagli volevano che rimanessero un mistero) e alla fine brutalmente ucciso con undici colpi di mitra. Le fotografie del suo cadavere furono diffuse a mezzo stampa.
Prima di ciò, il capo Giovanni Senzani cercò di screditare il collaboratore di giustizia proprio attraverso il fratello, facendogli rivelare in un video che era stato un traditore e aveva lavorato da infiltrato prima di essere catturato. Infine, lo pregava di tirarsi indietro, pena la sua morte. Il filmato, tuttavia, non fu mostrato dalla televisione né riportato sui giornali. (agg. di Chiara Ferrara)
Chi è Patrizio Peci, il primo collaboratore di giustizia delle Brigate Rosse
Patrizio Peci, nato nel 1953, è anche conosciuto con il nome di battaglia “Mauro”, utilizzato ai tempi della militanza nelle Brigate Rosse. Il suo ruolo è noto alla giustizia italiana principalmente per essere stato il primo brigatista a collaborare in seguito all’arresto avvenuto nel 1980. La sua attività per le BR non è stata longeva – circa 4 anni – e la sua influenza è stata registrata principalmente in accadimenti del 1977.
Patrizio Peci ha iniziato la sua militanza per le Brigate Rosse nel 1976, passando dopo poco sotto l’influenza di Mara Cagol a Torino. Della sua attività sono noti alcuni coinvolgimenti riferiti al 1977; dall’attacco ad Antonio Munari, dirigente FIAT ferito ad una gamba, al pedinaggio del giornalista Ezio Mauro. A dispetto dei propositi illeciti, furono gli stessi componenti delle BR a dimostrarsi contrari ad azioni violente nei confronti dell’uomo. Nota anche la sua partecipazione al delitto di Carlo Casalegno, giornalista che denunciò in maniera convinta le azioni di un gruppo di estrema sinistra tedesco a sfondo terroristico. Fu catturato nel 1980 grazie al pregevole contributo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; in seguito all’arresto decise di collaborare con la giustizia italiana.
Patrizio Peci, l’esecuzione del fratello e la nuova identità segreta
La scelta di Patrizio Peci, ex brigatista, di collaborare con la giustizia in seguito all’arresto del 1980, portò ad un tragico epilogo le sorti del fratello Roberto. Quest’ultimo fu accusato dai suoi stessi compagni di aver avuto un ruolo cruciale nella cattura del fratello. Tale circostanza lo portò ad essere condannato a morte e quindi giustiziato dai militanti delle Brigate Rosse. L’azione fu sancita da quello che è definito il “Processo Proletario”; a nulla valsero le dichiarazioni di innocenza di Patrizio Peci e la falsa testimonianza della sorella.
Dopo la collaborazione per la giustizia italiana e in seguito alla scarcerazione avvenuta dopo 8 anni di reclusione, Patrizio Peci è ancora oggi tutelato dalla giustizia italiana e vive in una località segreta. Oltre alla segretezza della dimora, l’uomo ha ottenuto anche una nuova identità al fine di poter continuare la sua vita lontano dalla preoccupazione di poter subire ancora ripercussioni in merito al suo supporto alle indagini contro le Brigate Rosse. Negli anni, la sua testimonianza è stata arricchita anche da un contributo letterario; in collaborazione con Giordano Bruno Guerri ha infatti scritto un libro dal titolo “Io, l’infame”.