L’attentato di mafia in cui morì il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato in via Carini, a Palermo, con la moglie Emanuela Setti Carraro e un agente della sua scorta, Domenico Russo, si consumò il 3 settembre 1982. Erano passati pochi mesi dall’attentato in cui persero la vita Pio La Torre, deputato Pci, e il suo autista, Rosario Di Salvo, uccisi a ridosso dell’insediamento del generale Dalla Chiesa a prefetto del capoluogo siciliano. Le indagini avrebbero accertato l’identità dei mandanti dell’attentato di via Carini – condannati all’ergastolo e individuati nei profili dei boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci – e quelle degli esecutori materiali individuati in Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo, Nino Madonia – stessa pena – con i collaboratori di giustizia Calogero Ganci e Francesco Paolo Anzelmo entrambi condannati a 14 anni.



Il 3 settembre 1982, mentre Carlo Alberto Dalla Chiesa era a bordo di un’auto con la moglie, Emanuela Setti Carraro, seguito dall’agente Domenico Russo per le vie di Palermo, il fuoco si aprì in via Isidoro Carini. I tre furono assaliti da un commando in azione a colpi di Kalashnikov e per il generale e la giovane moglie la morte sarebbe sopraggiunta nell’immediatezza. L’agente morì 12 giorni più tardi, in ospedale. Carlo Alberto Dalla Chiesa avrebbe tentato di proteggere Emanuela Setti Carraro, ma la prima ad essere colpita sarebbe stata proprio lei.



Generale Dalla Chiesa ucciso nel 1982: i mandanti e gli esecutori materiali

Nonostante i decenni trascorsi, sui fatti di via Carini e la morte del generale Dalla Chiesa insistono pesanti ombre. In un passaggio della sentenza (riportato dall’Ansa) a carico dei riconosciuti esecutori materiali dell’attentato, condannati all’ergastolo insieme ai vertici della “cupola” individuati quali mandanti, si legge quanto segue: “Si può senz’altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all’interno delle stesse istituzioni, all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale”.



Simbolo della lotta alla mafia e al terrorismo, il generale Dalla Chiesa sarebbe stato destinatario di una “condanna a morte” decisa da Cosa Nostra fin dall’annuncio del suo incarico di prefetto a Palermo. “Quando ho sentito alla televisione che era stato promosso prefetto per distruggere la mafia ho detto ‘Prepariamoci, mettiamo tutti i ferramenti a posto, tutte le cose pronte per dargli il benvenuto. Qua gli facciamo il c**o a cappello di prete’“. Così disse Totò Riina al capomafia pugliese Alberto Lorusso, in una conversazione intercettata nel 2013 in carcere e riportata dall’agenzia di stampa, senza però sgombrare il campo da un pesantissimo interrogativo: quale parte di verità e quali responsabilità restano sommerse? Nel corso della stessa intercettazione, riporta Antimafiaduemila.com, il boss avrebbe raccontato così i momenti chiave dell’attentato al generale Dalla Chiesa: “Appena è uscito lui con sua moglie, lo abbiamo seguito a distanza. Potevo farlo là, per essere più spettacolare, nell’albergo, però queste cose a me mi danno fastidio. (…) A primo colpo, a primo colpo ci siamo andati noi altri… eravamo qualche sette, otto di quelli terribili, eravamo terribili. Nel frattempo lui era morto ma pure che era morto gli abbiamo sparato là dove stava, appena è uscito fa… ta… ta…, ta… ed è morto”.