CHI HA UCCISO PAOLO BORSELLINO?

Sono passati 29 anni, tra depistaggi, nuove indagini, processi ed ex pentiti, dalla morte di Paolo Borsellino, uno dei più clamorosi omicidi di mafia avvenuto a Palermo il 19 luglio 1992. Esattamente 57 giorni dopo la strage di Capaci del 23 maggio in cui fu ucciso il collega ed amico Giovanni Falcone. Ad accomunarli, la lotta contro Cosa nostra. Mentre la Sicilia e l’Italia intera piangeva ancora la morte di Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta, un’altra strage si consumò in via D’Amelio, all’altezza del numero 21. L’attentato avvenne una domenica mattina, mentre il magistrato si stava recando a trovare la madre, Maria Pia Lepanto, esattamente come faceva ogni giorno festivo della settimana. Alle 16.58 in punto Palermo si fermò nuovamente dopo che una Fiat 126 rubata esplose in aria trasformando l’intera strada nel cuore cittadino in un vero e proprio inferno. A perdere la vita, oltre a Borsellino, furono anche in questo caso gli agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi – prima donna della Polizia a morire in servizio -, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.



L’unico a scampare da quell’orrore fu Antonino Vullo, che tuttavia non ha mai considerato quella una fortuna, dal momento che da allora i ricordi lo hanno sempre torturato e mai più abbandonato. Nel novembre 2019 si è concluso in Appello il quarto processo per la strage di via D’Amelio confermando le condanne all’ergastolo per i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino. I due sono imputati rispettivamente come mandante ed esecutore del delitto di mafia. Furono condannati per calunnia a 10 anni di carcere anche i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci.



MORTE PAOLO BORSELLINO, STRAGE VIA D’AMELIO 57 GIORNI DOPO QUELLA DI CAPACI

Paolo Borsellino sapeva bene ciò a cui stava andando incontro, soprattutto dopo la morte del collega Giovanni Falcone al quale era legato da una profonda amicizia. “Ora tocca a me”, continuava a ripetere mentre nelle ultime interviste concesse si definiva un “condannato a morte”. Borsellino conosceva il suo destino del quale ne aveva parlato anche con la moglie Agnese Piraino Leto confidandole: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.



In merito però alla strage di via D’Amelio la corte d’Appello nissena ha stabilito che questa rappresenta “un tragico delitto di mafia, dovuto a una precisa strategia del terrore adottata da Cosa nostra, in quanto stretta dalla paura e dai fondati timori per la sua sopravvivenza a causa della risposta giudiziaria data dallo Stato attraverso il Maxiprocesso” che nacque indubbiamente da una giusta intuizione dei due giudici ed amici Falcone-Borsellino. Ed è sempre la Corte a ribadire come la responsabilità della morte del magistrato sia “degli uomini di vertice dell’organizzazione mafiosa” che tacitamente o meno hanno portato all’attentato in cui Borsellino fu ucciso per “vendetta e cautela preventiva”.