Chi minaccia sui social rischia di essere condannato per stalking. La Corte di Cassazione, con sentenza 16257 del 17 aprile 2023, ha confermato la condanna ad un anno e sei mesi per una donna che sui social pubblicava post intimidatori nei confronti di una consulente del giudice. La signora, come spiega Italia Oggi, continuava a offendere e minacciare la consulente del giudice, additandola come collusa con la mafia.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano emesso una condanna a un anno e sei mesi di carcere nei confronti della signora. La Cassazione ha ora reso definitivo il verdetto: il reato d’atti persecutori, infatti, non consiste solamente in pedinamenti e appostamenti ma anche in esternazioni realizzate anche tramite i social.
La decisione della Cassazione
La Corte ha considerato le dichiarazioni della consulente minacciata. Dal compendio probatorio è emerso che “il dato oggettivo della riferibilità donna dei post e articoli aventi come bersaglio la professionista”. Nel valutare l’insieme dei comportamenti, secondo i giudici vanno valutate anche le specifiche social, dunque ciò che viene pubblicato su Facebook, Instagram e non solo.
La donna, con cadenza quasi quotidiana, pubblicava post diffamatori nei confronti della professionista. Anche le sole pubblicazioni di post sui social, infatti, sono sufficienti a integrare il reato di atti persecutori. La difesa ha sottolineato come le affermazioni della donna fossero “pungenti”, “forti” e “incisive”, ma per i giudici non è stato così. Le parole della signora hanno infatti superato il limite della continenza anche secondo la Cassazione, che ha confermato la condanna per stalking.