I talebani hanno ormai conquistato anche Kabul, la capitale dell’Afghanistan, e, con essa, il governo della nazione. L’interrogativo, tuttavia, sorge spontaneo: i talebani che conosciamo oggi, sono gli stessi che in passato hanno terrorizzato il mondo e fatto ripetutamente parlare di sé? La risposta viene fornita da chi se ne intende e il riferimento non può non essere a Domenico Quirico, giornalista de “La Stampa”, il quale ha scritto proprio sul quotidiano torinese una serie di considerazioni sul tema.
“Alla fine del Novecento – scrive – i taleban del mullah Omar erano reclutati tra gli studenti delle madrase, delle scuole coraniche, e tra i contadini della cintura tribale pashtun, arruolati e armati dai Servizi pachistani”. Diventare taleban significa “cominciare a separarsi. Divennero un temibile movimento politico militare in un Paese dilaniato da una guerra etnica che opponeva i pashtun a tagiki, uzbeki e hazara, ogni campo appoggiato logisticamente e politicamente da soggetti stranieri. La durezza della sharia, la paura per i loro metodi spietati, servì per piegare l’anarchia violenta dei capi tribali, riaprire la circolazione sulle strade del Paese”.
I TALEBANI OGGI “NON SONO STUDENTI, MA…”
Attualmente, lo scenario è mutato, secondo Quirico, il quale afferma che i combattenti sono reclutati nelle zone marginali del Paese, quelle più povere e dimenticate da un potere centrale che “non ha mai usato i dollari americani per ricostruire uno Stato. Venti anni di occupazione americana, invece di ridurre le distanze sociali tra i clan dei ricchi che manipolano i prezzi e le classi povere, le hanno moltiplicate”. I nuovi taleban non sono più in maggioranza studenti arrabbiati, ma i senza lavoro, giovani che inseguono un’avventura, o la vendetta, “inselvaggiti dagli innumerevoli danni collaterali delle nostre indifferenti guerre per la democrazia. Arruolati sfruttando le solidarietà claniche e famigliari, i legami sociali su cui è modellata la loro organizzazione militare e politica”.
Il giornalista sottolinea inoltre che in ogni villaggio esiste una cellula “costituita da pochi quadri, alcune decine di combattenti a tempo parziale, e fiancheggiatori ben motivati. Religiosi e anziani assicurano che le decisioni siano accettate dalla popolazione”. Nessuna novità, invece, per l’idea del mondo da parte dei talebani, teologicamente totalitaria.