Come quando le foglie cadono in autunno preannunciando l’inverno, le chiome dorate di Chiara Ferragni virano verso un prematuro filo argenteo. Persa l’innocenza e la semplice banalità di un volto limpido e sorridente, la sua immagine appare, a chi l’ha usata per crescere economicamente, ormai inguardabile. Come se avessero tirato giù dalla soffitta il ritratto di Dorian Gray appassito e brutto che nessuno osava sapere che esistesse, tanti si mettono oggi in fila per dissociarsi e marcare le distanze con la stessa velocità con cui avevano agognato, bramato un suo sorriso accanto a un profumo, sulla copertina di un diario o nella vetrina dei cosmetici.



Non che sia la prima meteora comunicativa che subisce l’autunno dell’oblio forzato, del silenzio carico di parole, dello sdegno per l’abbandono frettoloso e inelegante di alcuni, che si sono dimenticati di averla cercata e coccolata. Ma, direbbe un personaggio di un film famoso, “è la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente, niente”. Se vivi nel meccanismo mediatico ne sai le conseguenze, consoci i suoi riti. I suoi analisti avranno già preconizzato se il declino sarà arrestabile e in quanto tempo e quale strategia frapporre per non vedere crollare un impero da milioni euro. La Ferragni è ormai iconico brand di se stessa e la sua persona, che si cela dietro ai suoi gesti e le sue apparizioni, ha da tempo accettato di essere al servizio di tutto questo. Sa che non serve lamentarsi, sa che non può pretendere compassione e sa che quando si viene messi in discussione dal tribunale del web alla fine la condanna è scritta. O la trasformi in medaglia, rivendicando ciò che hai fatto (ella invece si è pentita in pubblico) o ti esponi all’eterno castigo della memoria infinta del web che per secoli rammenterà le pubblicità di panettoni, bambole o colombe che sono state all’origine della caduta.



Ferragni ha fama. E non gloria, direbbe Schopenhauer. La fama si nutre della parola, dell’immediato guizzo verbale, della pronta capacità di risposta, dell’andare sulla via seguita dalla massa, di argomenti che passano di bocca in bocca, fino a far diventare famosi per poi essere dimenticati non appena quelle parole e quei racconti si spengono assieme alla moda che li ha portati avanti. La gloria, invece, è quella delle opere, degli atti la cui grandezza arriva solo con il discernimento e la comprensione della loro profondità. Atti che spesso sono contro il sentire comune e che non vanno di bocca e anzi generano diffidenza. Ma se grandi, se veri, restano nella storia.



Ecco, se lei volesse uscire dall’angolo potrebbe pensare non a cosa dire, ma a cosa fare. Non ai soldi da mandare per carità, buon inizio, ma a passare qualche tempo davvero in mezzo a quelli che ha omaggiato con le sue opere di comunicazione. A dedicare parte delle sue energie personali, non comunicative, all’ascolto diretto, ai silenzi, ai bisogni di chi ha voluto aiutare con il suo bel sorriso e qualche denaro. Atti silenti, reali e umanamente difficili che farebbero la differenza tra una grande comunicatrice travolta da un percorso che dai media appare descritto come poco nitido, travolgendo la fama, e un donna silente che cerca una piccola gloria con il proprio impegno diretto.

Se lo facesse in estremo silenzio, senza premere “Rec” sul cellulare, se lo vivesse in prima persona per un tempo necessario a lei, si accorgerebbe che di tutta quella fama non avrebbe a che farsene. Ma un po’ di quella gloria le darebbe la forza di essere prepotentemente capace di raccontare cosa si prova nel cadere. E quanto è bello sapersi rialzare diversi e (forse) migliori.

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