Non solo il caso pandoro non è isolato, ma ci sarebbe addirittura uno schema. Uno “schema Ferragni“. Gli atti dell’inchiesta che ha travolto l’influencer parlano di una condotta «ripetuta nel tempo» da parte dell’imprenditrice, che «accosta a operazioni di tipo commerciale intenti benefici» pubblicando post e video «apparentemente fuorvianti», ma «idonei a condizionare il consumatore nelle proprie scelte d’acquisto». Questo non sarebbe accaduto solo nel novembre 2022 con il pandoro della Balocco, ma precedentemente anche con la bambola Trudi e le uova di Pasqua di Dolci preziosi. A delineare lo “schema” è il decreto con cui la procura generale della Cassazione affida per competenza a Milano l’inchiesta sul pandoro che vede Chiara Ferragni indagata per truffa aggravata.



Oltre a mettere in fila i ricavi incassati dall’imprenditrice, rimarca i meccanismi della presunta finta beneficienza, concludendo che l’unica a guadagnarci sarebbe stata proprio l’influencer. Come riportato dal Messaggero, si parla di un profitto «ingiusto», ottenuto «con l’inganno» nei confronti dei consumatori che avrebbero subito un «duplice» danno. Hanno comprato il pandoro sull’onda emotiva di «un messaggio pubblicitario manipolatorio» e l’hanno pagato a «prezzo maggiorato», nella convinzione di contribuire così alla «finalità benefica la cui serietà era garantita anche dalla credibilità di una influencer da circa 30 milioni di follower».



CHIARA FERRAGNI, DOPPIO DANNO (E GUADAGNO)

Lo stesso reato per il quale è indagata Chiara Ferragni è stato ipotizzato anche nei confronti di Fabio Damato, manager, amico e suo stretto collaboratore. Per i magistrati si sarebbero spinti un po’ oltre, infatti ritengono che sussistano «indici esteriori, di tenore non equivoco, idonei a dar conto di una unitaria programmazione, nell’ambito di un medesimo disegno criminoso, dei diversi fatti di reato», in considerazione «dell’unitarietà della spinta a delinquere, dell’analogia del modus operandi e de lasso temporale che separa i diversi episodi», scrive infatti il sostituto pg Mariella De Masellis nel provvedimento, come riportato dal Messaggero. Chiara Ferragni avrebbe guadagnato due volte con le operazioni oggetto d’indagine: firmando i contratti di sponsorizzazione con le aziende e accrescendo la sua reputazione.



Infatti, il profitto dell’influencer, come evidenziato dall’aggiunto di Milano Eugenio Fusco che ha aperto il fascicolo, «è consistito anche nel rafforzamento mediatico della sua immagine», dal crescente consenso ottenuto «veicolando una rappresentazione di sé strettamente associata all’impegno personale nella charity e in tal senso è stata orientata anche la campagna Balocco». L’«enfatizzazione della finalità benefica» del pandoro, «amplificata dai mezzi di comunicazione» usati a partire dai social, ha indotto «in errore i consumatori».

I COMPENSI PER LA PRESUNTA FINTA BENEFICIENZA

Prima di quello che Chiara Ferragni ha definito un “errore di comunicazione”, l’influencer guadagnava fino a 75mila euro per un post su Instagram e 30mila euro per una storia. Il suo impegno benefico, secondo la procura di Milano, potenziando la sua immagine ha determinato di riflesso l’aumento dei compensi percepiti. Lo dimostrerebbe la campagna pubblicitaria per le uova di Pasqua di Dolci preziosi, con un compenso erogato di 500mila euro per la Pasqua 2021 e di 700 mila l’anno successivo. Invece, per il pandoro Balocco, il tariffario di Chiara Ferragni prevedeva «un corrispettivo in misura fissa» di 400mila euro alla società Fenice per tre post e altrettante storie su Instagram, più 675mila euro a Tbs Crew per un post e nove storie.

In tutti «si lasciava intendere» che Chiara Ferragni fosse «parte attiva» nella donazione all’ospedale, con un «accresciuto consenso» che «comporta incrementi nei cachet accordati dai partner commerciali». Nelle carte dell’inchiesta si fa riferimento anche alle mail tra i team dell’azienda dolciaria e di Chiara Ferragni, da cui si evince, come riportato dal Messaggero, che le parti avevano «già approvato» che l’elargizione da 50 mila euro sarebbe stata effettuata prima dell’inizio «della vendita del proddotto».