Chiara, uccisa a 15 anni nel parco dell’Abbazia di Monteveglio, non potrà mai dirci che cosa ha visto negli occhi di Fabio, il nome è di fantasia, nel momento in cui lo spettro della morte si è impossessato di lui. Il ragazzo prova a raccontarlo con parole sue: parla di rabbia, di una voce che dal di dentro lo invitava a compiere quel gesto, evoca presunti demoni.
Il suo racconto, si badi bene, non deve essere aprioristicamente ridicolizzato. Forse è un po’ controcorrente, ma è bene ricordare che il Satàn esiste, il diavolo non è riconducibile ad un’invenzione di menti fragili, ma è qualcosa le cui tracce non si fa fatica a recuperare lungo i sentieri della storia. Esistono documentazioni articolate di possessioni, di vessazioni, di istigazioni. Ogni volta che qualcuno ne parla è saggio tenere un laico distacco dal racconto, ben sapendo che non esiste uno schema che ci permetta di scindere la verità di tali racconti dalle fatiche della psiche umana.
Eppure anche in questo campo è corretto parlare di demoni, di mostri, di voci: la schizofrenia è associata a immagini interiori ben precise che non devono essere ignorate. Ad un livello più semplice si potrebbe dire che molte oscurità della mente dipendono da un’anomalia nella ricostruzione dei dati percepiti nella realtà: la mente intravede fili e collegamenti che proiettano nell’intimo della persona mozioni e sentimenti irreali.
È una forma di povertà con cui è possibile convivere, ma che – per essere adeguatamente affrontata – richiede un valido interlocutore, una disarmata sincerità e una totale disponibilità a mettere in atto strategie di cura adeguate, fino ad affidarsi, per periodi più o meno lunghi, a trattamenti farmacologici che sostengano il cammino della mente stessa.
In questo discorso a ritroso, che è volutamente partito dall’ipotesi più drammatica – quella diabolica –, per scendere lentamente verso situazioni più comuni come le psicosi, le patologie psichiatriche e le anomalie della mente che colpiscono più del 60 per cento della popolazione adulta del pianeta, non si può infine eludere l’ipotesi più semplice, più elementare: l’abisso di cui ciascuno è fatto e che trova nel male radicale una delle sue più inquietanti espressioni morali.
È quell’abisso che, anzitutto, ha morbosamente avvicinato Chiara, è quell’abisso che è stato terreno fertile per tutto ciò che si è innestato dopo, ed è quell’abisso il nostro interlocutore, la parte dell’umano con cui ciascuno può interagire e che richiede il nostro tempo e la nostra cura. La personalità omicida di Fabio non si sviluppa solo a partire da un problema di salute mentale, ma anche e soprattutto da una silenziosa parte di sé che non ha trovato adeguate interlocuzioni, adeguati dialoghi, adeguate affidabilità. Il compito dell’adulto non è solo quello di fare delle buone diagnosi o di accorgersi dei processi e dei fenomeni, bensì di fare compagnia gratuita, sprecata, alle vite dei più giovani. Oggi gli educatori non sono quelli che parlano, ma quelli che sprecano la vita in relazioni gratuite, relazioni di cura e di guarigione.
Purtroppo viviamo un tempo in cui non ci interessa più sprecarci per il mistero che vive nella vita dell’altro: ci interessano tecniche, tattiche, strategie, ortodossie morali, ortoprassi. È così che affiorano i Fabio. Forse da Satana, forse dalla psichiatria, certamente dalla nostra incapacità di sprecarci gratis per il mistero, inquietante e buono, che in fondo li abita. Possa Chiara, adesso, godere di quell’amore che i fantasmi di Fabio le hanno impedito di incontrare, di godere, di abbracciare.
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