Chiara Saraceno è finita al centro di una contestazione prima di una lezione che avrebbe dovuto tenere all’Università di Torino, introdotta dal rettore Stefano Geuna. Quest’ultimo da giorni è finito nel mirino dei movimenti studenteschi torinesi perché accusato di non aver fatto abbastanza per i casi di abusi all’interno della sua Università, e di essere parte di un sistema patriarcale e maschilista. L’accusa del movimento femminista “Mai più zitt3” era quella di ‘pinkwashing’, mossa nei confronti dell’evento con protagonista Saraceno: l’intellettuale avrebbe dovuto parlare infatti delle politiche e della cultura di genere all’interno degli Atenei italiani.
Quanto successo all’università di Torino, con le contestazioni alla sociologa, è secondo la studiosa “esemplare nel modo di porsi dei nuovi movimenti giovanili ma anche delle difficoltà che ha l’università a farvi fronte”. Si tratta di un modo di pensare “in bianco e in nero, per categorie astratte in cui si perdono non solo le distinzioni e la complessità, ma anche le persone, le loro storie, i loro corpi. Spariscono le donne israeliane, rapite il 7 ottobre e spesso stuprate dai seguaci di Hamas; dei palestinesi si vede e denuncia, giustamente, l’immane sofferenza provocata dall’azione indiscriminata del governo israeliano, ma ci ignora quanto siano tenuti in ostaggio da Hamas” spiega a La Stampa.
Chiara Saraceno: “Università come spazio aperto al confronto”
Chiara Saraceno denuncia, sulle pagine de La Stampa, una lentezza di reazione da parte dell’università, “sottovalutazione del bisogno, non solo della domanda, di un aggiornamento dei curricula, non solo per correre dietro a tutte le nuove micro-figure professionali e mode di mercato, ma per rispondere alle domande conoscitive poste dalla presa di consapevolezza di soggetti prima tacitati, debolezza nel difendere l’università come spazio aperto al confronto senza irrigidimento nella logica esclusionaria amico-nemico, bianco-nero, o che assimila intere popolazioni e istituzioni al governo del Paese di cui fanno parte”.
Per Saraceno “che i giovani e le giovani vogliano prendere parola politica è importante, direi auspicabile, in un mondo loro apparecchiato dalle generazioni precedenti attraversato da incertezze a tutti i livelli, oltre che da diseguaglianze crescenti. Che la prendano in modo anche aggressivo e sbeffeggiante è naturale, altrimenti non verrebbero ascoltati. (…) Ciò che mi ha preoccupato e preoccupa non è stato il fatto che, senza conoscere e curarsi della mia storia né di quello che avevo da dire proprio su questi temi, solo perché sedevo al tavolo dei relatori, mi abbiano tout court assimilata all’istituzione che contestano. Quello che mi ha fatto più male è stata la loro affermazione che l’università è irrimediabilmente e immodificabilmente “maschia”, patriarcale e violenta, quindi non meritevole di interazione, ma solo di conflitto”.