Nei mesi scorsi era stato annunciato un accordo tra la Farnesina e il Dipartimento di Giustizia americano che avrebbe permesso a Chico Forti di fare ritorno in Italia. Eppure, come denuncia oggi lo zio Gianni al Corriere del Veneto, a nome della famiglia Forti, “ma da lì in poi non abbiamo saputo più nulla, abbiamo paura che tutto l’iter si sia fermato”. La storia dell’uomo, imprenditore trentino condannato all’ergastolo 21 anni fa da un tribunale americano è tristemente nota: Chico Forti fu accusato nel 1998 dell’omicidio di Dale Pike e da allora fu poi rinchiuso in un carcere di massima sicurezza. Forti però si è sempre dichiarato innocente ed ha sempre sostenuto di essere stato vittima di un gravissimo errore giudiziario. Da anni si è battuto affinché potesse fare ritorno in Italia e a sostenerlo si è mossa anche parte della società politica e della politica. Lo scorso dicembre, finalmente, il governatore della Florida aveva accolto l’istanza del detenuto di potersi avvalere dei benefici previsti dalla Convenzione di Strasburgo ed essere trasferito in Italia.



Da allora cosa è cambiato? Secondo lo zio di Chico, non sarebbe cambiato ancora nulla: “Stiamo ancora aspettando. Io ringrazio il ministro Di Maio, lo ripeto, perché grazie alle sue pressioni il governatore della Florida ha messo la firma su quell’accordo. Nel dicembre scorso, sei mesi fa”. Il ministero degli esteri aveva previsto il trasferimento dell’italiano entro l’estate in attesa dell’arrivo dei documenti per il rimpatrio. “E allora dove sono? Perché all’inizio ci hanno detto che i ritardi erano dovuto alla pandemia, poi al cambio di amministrazione tra Repubblicani e Democratici. E adesso cosa sta succedendo? Siamo preoccupati”, dice ancora lo zio.



CHICO FORTI “TRASFERIMENTO? TUTTO FERMO”: PARLA LO ZIO

Intanto la ministra Cartabia, come riferisce il Corriere del Veneto, in una nota ufficiale ha fatto sapere di aver inviato una lettera per sollecitare il trasferimento in Italia di Chico Forti ma al momento non sarebbe seguita alcuna replica. A preoccupare è anche questo ritardo nelle comunicazioni: “questo silenzio ci spaventa. Sembrava che l’iter fosse avviato, che tutto fosse in discesa, che i documenti fossero addirittura in spedizione. La lettera della ministra è del marzo scorso, sarebbe il caso di insistere, di smuovere qualcosa. Senza quei documenti, che trasferiscono in Italia Chico come detenuto, tutto rimane fermo”, ha insistito lo zio. L’uomo ha ribadito di essere stati “bravi e buoni per sei mesi” ma ora “non possiamo stare in silenzio per l’eternità, perché qui passano i mesi e il rischio è che diventino anni”. A suo dire “i due ministeri, degli Esteri e della Giustizia, devono lavorare insieme, agire in sintonia”. L’obiettivo, dunque, è che Di Maio e Cartabia riescano, collaborando, a portare Chico Forti in Italia anche se da detenuto: “L’importante è che sia vicino, poi si vedrà. Io voglio vederlo scendere dalle scalette dell’aereo, fino a quel momento non sarò in pace. Io, tutte le persone che in questi anni non l’hanno lasciato solo, e la sua mamma. Che ha compiuto 93 anni, che spera di poter vedere suo figlio prima che sia troppo tardi. Questa attesa sfibra i nervi a tutti”.

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