Non è cambiato nulla per Chico Forti da quando era ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il quale annunciò che il produttore televisivo sarebbe tornato in Italia. Ma è ancora in una cella del Dade Correctional Institution di Florida City, carcere di massima sicurezza nei pressi di Miami. Sono passati 862 giorni da quell’annuncio, ma nulla è cambiato. Enrico Forti, detto Chico, in carcere per l’omicidio di Dale Pike, è vittima di un cavillo. Visto che secondo l’ordinamento giuridico della Florida, non ci sarebbero le condizioni per ottenere una revisione del processo, l’unica via d’uscita è la Convenzione di Strasburgo del 1983, in base alla quale una persona condannata in uno Stato differente da quello di appartenenza può scontare la pena nel proprio Paese. Ma la pena inflitta dal tribunale Usa è quella dell’ergastolo senza condizionale, una misura che non è contemplata dai nostri codici.
Se venisse trasferito in Italia, Chico Forti non potrebbe scontare la pena comminatagli, perché abilitato a usufruire della libertà condizionale e di altri benefici. Di conseguenza, andrebbe adeguata la sanzione al sistema penitenziario italiano. Ma servirebbe una complessa mediazione con le autorità giudiziarie della Florida. C’è poi l’incognita Ron DeSantis. Stando a quanto riportato da Repubblica, che cita una fonte confidenziale, la «pratica Chico Forti» sarebbe ancora pendente, quindi il governatore – che sarebbe preoccupato dalle reazioni ostili dell’opinione pubblica – non avrebbe ancora concesso il via libera definitivo al trasferimento del detenuto, ma solo un’autorizzazione condizionata a non meglio precisate garanzie.
“MELONI SI STA INTERESSANDO DEL CASO CHICO FORTI”
Il caso Chico Forti in questi anni non è stato ignorato dai vari governi italiani che si sono succeduti. Ad esempio, nel giugno 2021 l’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia indirizzò al Dipartimento di Giustizia Usa una forte sollecitazione per arrivare ad una soluzione definitiva. Anche il governo Meloni, con la premier in prima linea, si sta interessando della questione. Pur considerando la complessità e delicatezza della questione giuridica, c’è però un’evidente lentezza nell’affrontare. Peraltro, sono molte le incongruenze sul caso dell’omicidio dell’australiano Dale Pike. L’impianto accusatorio, ad esempio, si rivelò subito fragile: dal movente, costituito dall’accusa di una presunta truffa poi archiviata, all’affermazione dello stesso italiano, poi ritrattata, resa nel corso di un lungo interrogatorio condotto senza un avvocato difensore. Inoltre, il procuratore dell’accusa ha riconosciuto che Chico Forti non è stato l’esecutore materiale dell’omicidio, dunque non si spiega perché si è cercato di collegarlo al luogo del delitto. C’è poi la condanna all’ergastolo senza condizionale e una serie di violazioni delle garanzie dell’imputato, come la mancata lettura dei suoi diritti da parte dei poliziotti, il comportamento gravemente negligente del primo legale e l’omessa comunicazione alle autorità consolari italiane delle accuse, secondo quanto previsto dalla Convenzione di Vienna.