Negli ultimi 10 anni la crisi delle vocazioni nella Chiesa Cattolica in Italia vede numeri sempre più preoccupanti: ad affermarlo sono i dati dell’Ufficio Vocazioni della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), confermando il trend visto già negli scorsi anni.

Dal 2001 al 2021, riporta l’Ufficio, vi è un 28% di seminaristi in meno nei 120 seminari sparsi per tutto il Paese: ad oggi sono 1.804, nel 1970 erano 6.500. Una fotografia “impietosa” che non toglie però nulla dell’importanza che anche solo una persona che dona la vita totalmente al Signore testimonia all’intera Chiesa. Nascita, matrimoni e vocazioni: è un “trittico” in costante diminuzione, nota il focus de “Il Giornale” e non si spiega solo con la crisi religiosa sparsa ormai in tutto l’Occidente. Abusi pedofilia, scollamento tra vita reale e vita parrocchiale, diminuzione delle adesioni ai Movimenti giovanili e in generale una mancanza di “maestri” e “testimoni” a livello pubblico. La Chiesa e il cristianesimo vengono visti come “fuori dal tempo” e senza più attrattiva: ma è davvero così?



LA CRISI DELLE VOCAZIONI E LE TESTIMONIANZE DEI NUOVI PRETI

Dal 3 a 5 gennaio se ne parlerà al Convegno Nazionale delle Vocazioni (qui il dettaglio dell’evento), ma intanto i colleghi de “Il Giornale” hanno rivolto queste domande ad alcuni futuri sacerdoti, contattati proprio per commentare la crisi delle vocazioni che non sembra avere fine nella Chiesa italiana: «Scelta fuori dalla realtà? Ma non siamo diversi dagli altri», spiegano i seminaristi che si apprestano a concludere il percorso vocazionale, «Non siamo certo eroi. In ogni caso non più di chi sceglie di formare una famiglia», spiega Alex dal seminario di Cremona. Il rettore don Marco d’Agostino a “il Giornale” racconta come avviene il percorso: «l’età media è di 25. Li spingiamo ad entrare fin da subito in un’ottica di ministero. Altrimenti, il primo giorno che questi ragazzi usciranno dal seminario che succederà? Tra le iniziative c’è il “Pozzo di Giacobbe” in cui seminaristi e adolescenti vivono insieme per una settimana al mese; poi gli incontri mensili per gli over 20 e l’adorazione mensile; infine, le attività in parrocchia». Si parla spesso di nuovi preti o consacrati in ordini religiosi come degli “eroi controcorrente”, ma è lo stesso rettore del seminario di Cremona a ribattere «Tutto tranne questo. Forse possiamo parlare di “merito” nell’aver deciso di iniziare un cammino – ribatte il rettore -, un percorso di servizio per la gente, di aver messo da parte se stessi per mettersi in discussione». Gli fa eco il rettore del Pontificio seminario regionale umbro Pio XI, don Andrea Andreozzi: «Qui ci sono persone che fanno sul serio e che sono tra noi perché appassionate e cariche di entusiasmo. Il prete non è un sovrano della parrocchia, non siamo indispensabili o più bravi degli altri. Il seminarista non è un santo confezionato e il seminario non è una fabbrica di preti, è un luogo che offre la possibilità di vivere il Vangelo ogni giorno».



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