Ci sono luoghi che si imprimono nel cuore. Non li conoscevi fino a quel momento, ma “quel momento” era come se fosse già scritto o forse, più semplicemente atteso. Lasciando l’autostrada e i pochi chilometri in piano, le dolci colline accolgono il viandante come favorendo il viaggio o allenando il cammino al pellegrino della Via Francigena, prima del passaggio ben più arduo del valico della Cisa, sull’Appenino emiliano. È in questo intersecarsi di colline che, come adagiata su esse, si intravede una costruzione “strana” che però ben si integra con il paesaggio circostante: si è arrivati alla Casa della Fraternità Francescana di Betania a Cella di Noceto.
L’azzurro del saio ti colpisce quanto chi lo indossa, perché sono fratelli (chierici e laici) e sorelle consacrati a Dio mediante voti perpetui di castità povertà e obbedienza. Quell’iniziale titubanza che porta in sé ogni luogo non conosciuto è sostituita da quella semplice curiosità man mano destata dal presentimento di “qualcosa” di vero. L’accoglienza, la preghiera e la vita fraterna ti accompagnano nella giornata. Non ci sono maschere da tenere, steccati da difendere, storie da dimenticare o rimorsi da soffocare, sei accolto, punto e basta. Nella semplicità della tavola (tutto è Provvidenza) il susseguirsi di brandelli di esperienze, di uomini e donne (chi medico o commessa, chi manager o parrucchiere) travolti da un incontro che ha cambiato tutto nella loro vita e investito il mondo (11 Case in Italia ed Europa, una in Brasile). D’altronde è così che va la Chiesa, non per proselitismo o programmi, ma per attrazione e testimonianza, come disse Benedetto XVI.
Nel frattempo, un’auto entra nel cortile interno, una donna scende e suona al portone del magazzino. È venuta a ritirare il pacco, il pacco alimentare che quindicinalmente viene dato alle famiglie bisognose. La Provvidenza è condivisa. Quello che c’è, c’è. Quello che non c’è si chiede a San Giuseppe. Semplice (mi dicono). Il loro sguardo sereno scardina qualsiasi dubbio “contabile”. La pausa pomeridiana, gli spazi del colonnato che circonda il chiostro e il silenzio che a poco a poco avvolge tutto, rotto solamente dal frinire delle cicale, portano suggerimenti alla lettura, alla preghiera o più semplicemente alla riflessione.
Un caffè “al volo” prima dei vespri con il fratello Custode è occasione per andare all’origine di questa loro storia, circa quarant’anni fa, del fondatore, fra Pancrazio Gaudioso, figlio spirituale di San Pio da Pietralcina. Nel chiostro il suono del flauto e dell’organo accompagna la chitarra nel canto della Messa serale preceduto dal Rosario, volendo quasi investire di quella Bellezza le colline circostanti. Che strano, talvolta si pensa che l’amicizia sia esito di frequentazione assidua, ma allora perché in questo breve spazio di tempo si fa l’esperienza di un “da sempre”?
Si riparte. Per un tratto i fiordalisi ci segnano l’argine della strada, un canto sorge alla memoria “ojos de cielo, si yo me olvidara de lo verdadero, si yo me alejara de lo más sincero, tus ojos de cielo me lo recordaran”: occhi del cielo, se ho dimenticato ciò che era vero, se mi sono allontanato dal più sincero, i tuoi occhi celesti me lo ricorderanno”. Azzurro, come il loro saio, azzurro Betania.
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