L’8 agosto scorso il Santo Padre ha emanato un Motu Proprio con cui ha introdotto una modifica significativa al Codice di diritto canonico in materia di prelature personali. La precedente edizione del Codice di diritto canonico in cui Giovanni Paolo II aveva istituito le prelature personali risaliva al 1983 e da allora sono trascorsi 40 anni. L’Opus Dei è rimasta l’unica prelatura personale. L’intervento di Papa Francesco con il suo Motu Proprio ha sollevato un interesse maggiore, rispetto a quello che generalmente accompagna la pubblicazione di tanti altri documenti in Vaticano, a meno che non si tratti delle encicliche del Papa, di ogni papa.
E molti si sono posti una tripla domanda: in che cosa il nuovo documento modifica realmente la struttura delle prelature personali, perché il papa ha voluto farlo e perché tanta gente è interessata a capire il senso di questa decisione. Non c’è dubbio che il nuovo intervento del Vaticano è in linea con la lettera apostolica Ad charisma tuendum del 14 luglio 2022, in cui il Papa sembrava chiedere all’Opus Dei di fare un passo indietro proprio sotto il profilo giuridico. Prima di diventare prelatura personale l’Opus Dei aveva un presidente generale e poteva incardinare preti e laici: ora, con l’intervento di Papa Francesco, saranno soltanto i chierici a essere incardinati nella nuova associazione pubblica clericale alle dipendenze del Dicastero per il clero. Il fatto è che il carisma specifico dell’Opus Dei è rappresentato proprio dalla chiamata universale alla santità, da raggiungere santificando le realtà temporali, in particolare il lavoro e la famiglia. Si tratta di un carisma pienamente secolare, come è confermato dalla stragrande maggioranza dei membri che sono laici, quasi tutti sposati.
L’aspetto veramente innovativo, poi, rispetto alla storia della Chiesa è che nell’Opera tutti i membri sono alla pari, non ci sono membri di serie A e di serie B, per cui i laici hanno la stessa importanza dei sacerdoti e a loro è affidato il governo delle molteplici attività che si svolgono in tutto il mondo. I membri dell’Opus Dei svolgono le più diverse attività: sono operai e contadini, tassisti e impiegati, parrucchieri e commercianti, sono medici e avvocati, giudici e notai, ricercatori e professori in tutte le scuole di ogni ordine e grado, comprese le università. La differenza tra di loro non la fa il prestigio del ruolo ma la competenza, la perfezione umana che si mette nel realizzarlo e lo spirito di servizio che porta a fare le cose con tutto l’amore possibile verso gli altri. Ogni lavoro può essere santificato e santo e benedetto è anche il lavoro di cura con cui una madre si occupa dei suoi figli e nello stesso tempo garantisce assistenza ai genitori anziani o quando sono malati. I membri dell’Opus Dei sono orgogliosi della loro libertà e della autonomia con cui svolgono il proprio lavoro; un lavoro con cui si mantengono e mantengono le proprie famiglie.
Nello stesso tempo svolgono insieme a tante altre persone, che per lo più non sono dell’Opus Dei, una funzione sociale di servizio attraverso iniziative di volontariato che cercano di rispondere alle molteplici esigenze che emergono nelle fasce più fragili delle nostre città. Bisogni di formazione e di assistenza, di accoglienza a tutti i livelli, che proprio la loro laicità permette di svolgere senza distinzioni di alcun tipo. Cosa che continueranno a fare comunque, perché si considerano cittadini come tutti gli altri: stessi diritti e stessi doveri.
Pertanto l’unica cosa che sorprende molti di loro è essere assimilati ora alle associazioni clericali. Sembra francamente una contraddizione in termini. E su questo dovrà concentrarsi il lavoro di revisione degli statuti, perché la norma non stravolga la vita, ma ne colga invece gli aspetti più caratteristici, valorizzandoli in linea con quanto afferma nella Lettera apostolica Ad charisma tuendum. Difendere il carisma nell’Opus Dei significa rilanciare a tutto tondo la chiamata universale alla santità, ricordando che, se il lavoro è l’ambito primario di impegno, allora va fatto decisamente bene; con la competenza necessaria e con lo spirito di servizio che gli altri si attendono da chi con il lavoro intende santificarsi e non farne solo una occasione di affermazione personale, che consenta una vera e propria scalata al successo.
Ed è questa la preoccupazione principale dei membri dell’Opus Dei in questo momento, vivere la propria chiamata alla santità lavorando il più possibile e il meglio possibile, prendendosi cura delle proprie famiglie e restando disponibili alle richieste di aiuto che possono venire dai loro amici, vicini e lontani, secondo la sollecitudine che Papa Francesco ha espresso con l’enciclica Fratelli tutti. Pregando per la Chiesa e per il Papa. Non stupisce quindi che abbiano accolto con fiducia le parole del prelato, monsignor Ocáriz, che ha commentato il nuovo Motu Proprio assicurando che l’Opus Dei accoglie “con sincera obbedienza filiale le disposizioni del Santo Padre” e chiede ai membri dell’Opera “di rimanere, anche in questo, tutti molto uniti”. E poi ha aggiunto: “Seguiamo lo stesso spirito con il quale san Josemaría e i suoi successori hanno accettato qualsiasi decisione del Papa sull’Opus Dei. Poiché l’Opera è una realtà di Dio e della Chiesa, lo Spirito Santo ci guida in ogni momento”.
C’è solo un punto su cui i membri dell’Opus Dei faranno un po’ fatica ad accettare il contenuto del Motu Proprio, ed è quando si riferisce al ruolo di colui che per tutte le persone dell’Opera finora è sempre stato il Padre. Chiamarlo “moderatore, dotato delle facoltà di ordinario”, sembra un po’ buffo e un po’ complicato, decisamente inadeguato rispetto alla paternità che ha sempre espresso nei confronti dei suoi figli, prendendosene cura con una relazione di prossimità che è possibile comprendere solo quando la si sperimenta. Certamente il problema di fondo più importante resta quello di ripensare a fondo quale “teologia del laicato” Papa Francesco vuole proporre alla Chiesa cattolica. Abbiamo bisogno di soluzioni nuove, in un periodo in cui la crisi dei valori che attraversa il mondo non risparmia neppure la Chiesa.
Assistiamo a situazioni fortemente contraddittorie, per cui da un lato ci sono milioni di giovani che alla Gmg mostrano tutta la passione con cui vogliono impegnarsi a vivere la loro fede, e dall’altra sappiamo che ci sono altri milioni di giovani che, invece, si allontanano dalla fede e hanno comportamenti violenti e spregiudicati. Gli uni e gli altri hanno bisogno di un’amicizia umana e soprannaturale, che faccia risuonare dentro di loro le parole del Signore: “Vos autem dixi amicos”. Molti giovani che ricevono formazione in contesti vicini alla Prelatura, provenienti da tutto il mondo, hanno partecipato alla Gmg portando la loro testimonianza di fede e di entusiasmo umano e soprannaturale verso un universo giovanile che ha bisogno di loro, perché sono giovani che vivono la loro laicità costantemente in cerca di ideali forti. Il futuro della Chiesa, il futuro dell’Opera, il futuro della società sono loro ed è a loro che dobbiamo pensare come persone che desiderano essere sante pregando, cantando, studiando e facendo esami, sognando un lavoro che li interessi e una famiglia da formare, con mille iniziative di volontariato da promuovere e da portare avanti, prelatura e non prelatura.
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