“Guardate come muoiono i maiali polacchi che danno rifugio agli ebrei”. Queste, subito dopo l’efferato eccidio di 17 persone (compreso un bimbo ancora nel grembo della madre), furono le volgari e agghiaccianti parole pronunciate di fronte a testimoni atterriti, gli abitanti del villaggio, da Józef Kokott, uno spietato gendarme di origine ceca di soli 23 anni inquadrato nelle forze di occupazione tedesche.
Tutto accadde nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1944 nella sperduta cittadina di Markowa, nella parte sudorientale della Polonia, non lontano dal confine con l’Ucraina. Tra i 4mila abitanti c’erano anche una trentina di famiglie ebree, che cercavano di sfuggire alle esecuzioni sommarie e alla deportazione nei campi di sterminio. I coniugi Józef e Wiktoria Ulma erano consapevoli del grave rischio che avrebbero corso insieme con i loro sei figli (un settimo in arrivo) ospitando degli ebrei, tuttavia decisero ugualmente di aprire ad otto di essi la porta di casa – come fecero pochi altri coraggiosi in paese – per nasconderli. Ma purtroppo qualcuno parlò e li tradì. Così i militari si presentarono a sorpresa in una decina e circondarono la fattoria degli Ulma, per evitare che qualcuno sfuggisse: nessuno si doveva salvare, neppure i più piccoli.
Tre ebrei furono fucilati nella soffitta dove dormivano, gli altri poco dopo con un colpo alla nuca. Józef e la moglie, incinta e prossima al parto, furono obbligati invece ad uscire fuori dalla casa e lì uccisi a bruciapelo davanti a tutti. La fredda esecuzione doveva mostrare in modo esemplare la tragica sorte che sarebbe spettata a coloro che si ostinassero a nascondere in casa degli ebrei. Ma nessuno si aspettava l’esito sconvolgente dell’irruzione. Chi comandava la pattuglia dei carnefici, il tenente Eilert Dieken, dopo essersi brevemente consultato con i commilitoni, decise di trucidare anche i bambini, i figli degli Ulma. I piccoli gridavano, piangevano e chiamavano la mamma e il papà, caduti poco prima davanti ai loro occhi, colpiti dalle raffiche di fucile degli assassini. Non ci fu alcuna pietà. Kokott giustiziò personalmente tre fra i bambini, i suoi compagni eliminarono gli altri. I nomi delle piccole vittime erano Stasia, otto anni, Basia, sei, Wladziu, cinque, Franio, quattro, Antoś, tre e Marysia, uno e mezzo. Dopo il crudele massacro, i carnefici saccheggiarono la fattoria, portando via anche i letti. Il sindaco del villaggio si occupò della sepoltura delle vittime; così si scavarono due fosse, una per gli Ulma e una per gli ebrei.
Solo successivamente le salme degli Ulma vennero portate di nascosto nel cimitero parrocchiale di Markowa, dove riposano tuttora. Ed è nella cittadina polacca che oggi, domenica 10 settembre, quasi 80 anni dopo la strage, per desiderio di Papa Francesco vengono solennemente proclamati martiri e beati tutti e nove i componenti della famiglia Ulma, compreso l’ultimogenito, sul punto di nascere (in base a testimonianze dell’epoca, nel momento della traslazione dei corpi dalla fossa comune nelle bare, si intravedeva il capino del nascituro e un poco del torace spuntare dal ventre della madre crivellato di colpi).
Mai prima d’ora la Chiesa cattolica aveva elevato alla gloria degli altari in un’unica cerimonia un’intera famiglia, genitori e figli tutti insieme. In vista dell’imminente beatificazione, nell’udienza di mercoledì 30 agosto Bergoglio ha indicato la testimonianza degli Ulma fino al sangue come una strada di santità per tutti. “L’esempio di questa famiglia eroica che ha sacrificato la propria vita pur di salvare i perseguitati ebrei”, ha detto rivolgendosi ai presenti, “vi aiuti a comprendere che la santità e i gesti eroici si raggiungono attraverso la fedeltà nelle piccole cose quotidiane”.
La commovente storia di Józef, Wiktoria e dei loro figli è raccontata nel libro Uccisero anche i bambini. Gli Ulma, la famiglia martire che aiutò gli ebrei (Ares, 2023). Autori il responsabile della sezione polacca di Vatican News e di Radio Vaticana Pawel Rytel-Andrianik e la vaticanista dell’Ansa Manuela Tulli. Il libro, che intreccia le vicende della famiglia di Markowa con quelle drammatiche dell’occupazione tedesca della Polonia e della persecuzione degli ebrei, è il frutto di un’accurata e documentata inchiesta giornalistica, portata avanti nei luoghi dove i futuri beati hanno vissuto e attingendo alle fonti e alle testimonianze del processo di beatificazione. Il libro è arricchito dall’introduzione di monsignor Stanislaw Gadecki, che presiede la Conferenza episcopale polacca, e da un’intervista al cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi.
Per monsignor Gadecki la scelta degli Ulma di ospitare otto ebrei per un anno e mezzo, fino al tragico epilogo, non fu “una decisione affrettata, ma il risultato della lettura della Parola di Dio, che ha formato i loro cuori e le loro menti, e quindi il loro atteggiamento verso il prossimo”. Semeraro sottolinea che il fatto che sia stato esercitato un atto di carità da un’intera famiglia fa emergere la “dimensione comunitari della santità”.
Ancora Papa Francesco, in un messaggio al rettore dell’Università Cattolica “Giovanni Paolo II” di Lublino (Polonia) – ateneo coinvolto nel progetto del libro grazie al Centro per le relazioni cristiano-ebraiche “Abraham J. Heschel” – esprime una speranza: “Il ricordo degli eventi della seconda guerra mondiale, che ha portato allo sterminio di milioni di persone, tra cui molti bambini innocenti, e all’Olocausto sperimentato dagli ebrei, risvegli il cuore di tutti alla riflessione sull’attuale situazione del mondo, che sperimenta la terza guerra mondiale a pezzi”.
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