Per la prima volta nella storia un metropolita della Chiesa russa ortodossa è intervenuto, usando la modalità video-conferenza, presso il Consiglio di sicurezza dell’Onu per denunciare quella che secondo lui sarebbe una vera e propria persecuzione in atto da parte del governo ucraino nei confronti di alcuni sacerdoti della Chiesa che fa ancora riferimento al Patriarcato di Mosca.
Nella drammatica e complessa situazione dell’Ucraina non possiamo ignorare che non tutti gli ucraini sono dalla parte del loro governo. Anzi alcuni vorrebbero diventare membri della Federazione Russa. Ma neppure tutti i cittadini della Federazione Russa sono contenti di farne parte. E così anche altri di diversi Paesi dell’ex Unione Sovietica preferirebbero essere cittadini di altri Stati dove la loro etnia è maggioritaria.
Questa situazione è tipica delle genti dell’ex Urss che nel tempo, a volte anche a causa delle deportazioni, sono finite dappertutto in quel vastissimo territorio, con tutti i problemi collegati.
Ma tornando a quello che si diceva all’inizio, anche tra i preti ortodossi che da sempre, con l’eccezione della Chiesa ucraina autocefala auto-fondatasi nel 1992, fanno riferimento al Patriarcato di Mosca, non tutti hanno preso le distanze dal loro Patriarca. Come già scritto, è un diritto della magistratura ucraina accertare se questa loro discussione li ha portati a collaborare con il “nemico”.
Di per sé essere fedeli al Patriarca di Mosca non può essere ritenuto un delitto. D’altra parte proprio l’Onu che, almeno formalmente, ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina, non può non ricordare al Patriarca di Mosca e ai suoi rappresentanti che in questa vicenda non hanno certo avuto un atteggiamento di uomini di pace.
Resta il fatto che queste contese anche nel mondo ecclesiastico stanno spegnendo in molti fedeli la fiducia nella Chiesa, che fino a prova contraria è la Chiesa di Cristo, non di Putin o di Zelensky.
Proprio nella settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani non possiamo sentirci estranei a questa vicenda, magari sperando di guadagnare qualche adepto alla Chiesa cattolica.
Un’ultima considerazione. L’intervento presso l’Onu della Chiesa russa ortodossa ha comunque un aspetto molto interessante. Sembrerebbe infatti che l’Onu e le organizzazioni internazionali in genere attualmente si sentano preoccupate solo, o quasi, delle questioni legate alle discriminazioni di genere, Lgbt.
E la libertà di coscienza, che proprio nella dimensione religiosa trova un luogo privilegiato di difesa della identità della persona?
A tal proposito non posso dimenticare le parole dette al clero e alle autorità del Kazakhstan da san Giovanni Paolo II durante la storica visita del 2001, undici giorni dopo il tragico attentato alle Torri Gemelle di New York City. Davanti a un popolo che aveva subito una dura repressione religiosa da parte di un regime che imponeva il cosiddetto “ateismo scientifico” ebbe il coraggio di difendere la libertà di coscienza anche dei non credenti con una citazione dello scrittore kazako Abai Kunabai: “Proprio perché adoriamo pienamente Dio e abbiamo fede in Lui, non abbiamo il diritto di dire che dobbiamo obbligare gli altri a credere e ad adorarlo”.
Saprà l’Onu, e altri organismi politici internazionali, tutelare anche la libertà di coscienza dei credenti in un mondo dove spesso è violata?
Pensiamo a tutti quei Paesi nei quali non è permesso di confessare liberamente la propria fede o di convertirsi liberamente ad un’altra.
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