Secondo i dati forniti dai motori di ricerca, tra la metà di maggio e la fine di giugno si terranno circa il 50 per cento dei matrimoni di quest’anno. Un numero che, tradotto in valori assoluti, segna un drastico calo rispetto a quello del 2019: i matrimoni sono sempre meno mentre crescono, inarrestabili, le unioni civili. Gli italiani non scorgono alcuna differenza tra i due istituti giuridici e una certa idiosincrasia per la Chiesa fa tutto il resto.



Il punto è che le persone, normalmente, si sposano per amore, mentre l’amore col matrimonio c’entra fino ad un certo punto. Lungi dal voler semplicemente provocare, la questione affettiva mette in luce come l’individualismo, da cui siamo circondati, interrompa di fatto il cammino della conoscenza. Certamente in una relazione tutto parte con l’attrattiva. Un’attrattiva fisica, cui forse solo la chimica può dare qualche spiegazione, un’attrattiva intellettuale, che sorprende per l’assonanza che si genera, un’attrattiva soprattutto morale, per cui l’altro appare come un bene desiderabile. È un mistero! È chiaramente un’attrattiva, ma è anzitutto un mistero: ad un certo punto un altro si impone alla coscienza dell’Io.



Eppure, quest’imporsi non è il motivo che tiene in piedi la relazione. L’attrattiva, infatti, per fiorire è destinata a diventare desiderio. “A me non basta vederti, a me non basta incrociarti: io voglio stare con te, voglio che il mio tempo diventi il nostro tempo”. E uno non ha occhi per altro, non ha cuore per altro, non ha sentimenti per altro: l’altro non basta mai e tutto diventa piccino rispetto all’esigenza di costruire qualcosa con lui.

Normalmente, a questo punto, le persone si sposano. E qui sta il vero errore. Perché l’attrattiva e il desiderio non sono sufficienti a sostenere il cammino di una vita: ci vuole di più. E questo di più è anzitutto un lavoro. Non c’è desiderio, infatti, che non necessiti di diventare un lavoro.



Il nostro tempo, sia sul tema dei figli che su quello dell’amore, come su quello della pace, si ferma al desiderio e si perde per strada il lavoro. Che cos’è il lavoro che la vita richiede? L’impegno col reale, l’impegno con quello che si desidera, la lealtà verso quello che la vita vuole e chiede. Occorre impegnarsi col tumore per poter crescere anche dentro al dolore, occorre impegnarsi con la propria professione per crescere anche nelle ore più monotone del giorno. Occorre impegnarsi con l’altro perché questo desiderio diventi una strada. E la strada consiste nel fatto che il rapporto con ciò che uno desidera rende più chiaro il cambiamento di cui c’è bisogno, fa vedere dove l’umanità fa acqua, che cosa è necessario fare per diventare più grandi.

A questo punto si potrebbe obiettare che un amore che non accetta l’altro per quello che è, non è amore: ma l’amore non c’è per confermare l’altro, l’amore c’è per cambiare. Se l’amore non cambia, non fa fare una strada, non è amore, ma un premio di consolazione. Gli uomini cercano un bene consolante, mentre l’amore è un bene turbante. L’amore turba la vita. E che questo “turbamento” non sia “tossico”, un sordido tentativo di manipolazione, si vede dal fatto che, cambiando, uno diventa più libero, più lieto, più capace di sacrificio, più disponibile alla vita, più vero. Al punto tale che arriva a dire: “è attraverso questa persona che io potrò essere più me stesso”. Arriva, insomma, a dare un giudizio.

Il punto è questo: non ci si sposa per un’attrattiva, non ci si sposa per un desiderio, ma per un giudizio. Un giudizio che non è vincolato alla simpatia dell’altro, ai soldi dell’altro, alla moralità dell’altro, ma al lavoro che ha fatto l’Io. Se nella vita non si fa esperienza, se nella vita non si fa un lavoro con la realtà che è data da vivere, non c’è giudizio e tutte le scelte, anche quelle più decisive come quelle matrimoniali, sgorgano soltanto da un sentimento. I sentimenti finiscono, l’amore finisce, l’attrattiva svanisce, il desiderio risorge per mille cose e mille persone.

Come è possibile chiedere ad un giovane di essere fedele alle promesse del matrimonio se quelle promesse sono fondate su un sentimento? La saggezza della Chiesa ha sempre ripetuto che “consensus fecit nuptias”, che è il consenso, il sì di un uomo e di una donna, a fare le nozze, non l’amore. La vita può essere costruita sui sentimenti – e allora sarà come la casa costruita sulla sabbia che arriva il vento e la pioggia e la spazza via –, o la vita è costruita sul giudizio che nasce dal lavoro. Un giudizio che nessuna insoddisfazione, nessun tradimento, nessuna meschinità potrà mai cancellare.

C’è infine un ultimo punto che sarebbe vile nascondere: il cristianesimo ha introdotto un pezzo nuovo in questo percorso. Fin qui, infatti, non bisogna credere in niente per fare una strada di questo tipo. Gesù, però, ci mette il colpo di scena e rivela a chi Lo segue un’inaudita verità: è Lui che ha messo in cuore quell’attrattiva, è Lui che ha iniziato tutto. Ed è sempre Lui ciò da cui il cuore si sentiva attratto. L’altro non è soltanto la strada che rende più solido l’Io, ma è anche la strada che porta al Tu. “Io ti amo” significa “io riconosco che devo passare di qua, da questa faccia qua, da questo caratteraccio qua, da questa miseria qua” per arrivare ad incontrare me, per arrivare ad incontrare Dio.

Ecco la conoscenza che l’individualismo interrompe, ecco la solidità che attende tutti coloro che accettano di fare una strada, di stare dentro ad un lavoro. Non ci si sposa per amore. Ci si sposa per una scoperta che niente e nessuno, nemmeno il giorno più buio, può portarci via.

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