Penso che per entrare nel Natale, sia necessario partire dall’Avvento. O forse dico questo perché per me il tempo di Avvento è sempre ricco di aspettativa, che il Natale immancabilmente non tradisce. Il Natale è l’ingresso del senza tempo nel tempo, che dà senso al tempo (questo lo ha scritto Eliot nei suoi ormai forse definitivi “Cori” della Rocca, della Chiesa). Eppure il tempo non si è fermato in quell’istante di tempo, quando Gesù è nato. Anzi, forse da quel momento le cose si sono messe a correre di più. Il tempo vola, piaccia o non piaccia, ma (e qui qualcosa si fa interessante) è pieno della misericordia di Dio che ricrea continuamente. Questo è quanto ho sperimentato in questi mesi, soprattutto già a partire dal Sinodo dei vescovi di ottobre sui giovani, e quindi, di conseguenza, sulla speranza nella e per la Chiesa.    

E poi le tante altre grazie concretamente di questo tempo di Avvento: soprattutto la sofferenza, l’ingiustizia e le difficoltà di alcune persone e famiglie, vissute come umile offerta al Signore, che hanno riacceso la speranza per altri. Ecco allora, la speranza mi sembra la novità di questo Natale. Gesù ha veramente portato nella loro vita una speranza che è più forte delle difficoltà e delle sofferenze, e perciò è capace di trasfigurare la vita e il mondo dal di dentro. Il problema è che occorre avere gli occhi di un bambino per “vedere” questa speranza in atto. E poi, la speranza è contagiosa… Agli inizi del cristianesimo con una lungimiranza  impressionante Pietro lo aveva già profeticamente individuato quando scriveva ai primi cristiani “E chi potrà farvi del male, se sarete ferventi nel bene? Se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non sgomentatevi per paura di loro e non turbatevi, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,13-15).

Per essere autentici portatori di speranza, e non ciarlatani, è necessario essere ciò che il santo papa Paolo VI indicava nella bellissima, eppur ahimè forse un po’ dimenticata enciclica Evangelii Nuntiandi: “Conserviamo dunque il fervore dello spirito. Conserviamo la dolce e confortante gioia d’evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime. Sia questo per noi – come lo fu per Giovanni Battista, per Pietro e Paolo, per gli altri Apostoli, per una moltitudine di straordinari evangelizzatori lungo il corso della storia della Chiesa – uno slancio interiore che nessuno, né alcuna cosa potrà spegnere. Sia questa la grande gioia delle nostre vite impegnate. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo” (80). 

Questo Santo Natale è segnato, lo vogliamo o no, anche per noi cattolici in Russia, dal dramma, o forse dalla tragedia della lacerazione nell’ortodossia mondiale riguardo alla situazione in Ucraina. Non voglio aggiungere nulla a ciò che ha già detto benissimo papa Francesco, voglio solo dire che la speranza in noi, non in proclami o manifestazioni, ma proprio in noi come diceva san Pietro, anche in questo tempo così drammatico, è capace di portare, “supportare” anche la speranza dei nostri fratelli ortodossi. Se non saremo dei gioiosi annunciatori, sorpresi dalla gioia di Cristo che rinasce nei nostri cuori e basta, verremo meno al nostro compito in questo spartiacque della storia.