Amava citare questo passo di papa Benedetto XVI: “Si può dire che lo stesso impulso alla ricerca scientifica scaturisce dalla nostalgia di Dio che abita il cuore umano; in fondo, l’uomo di scienza tende a raggiungere quella verità che può dare senso alla vita”; ma era molto più di una citazione per Carlo Soave, lo scienziato scomparso ieri a Milano, stroncato da un infarto all’età di 77 anni. Per lui era un programma di vita e un habitus intellettuale: lasciarsi colpire dall’incontro vivo e vivace con la realtà naturale per essere continuamente mobilitato dalla nostalgia di Dio e proiettato in una rigorosa e appassionata ricerca del vero.



Laureato in medicina, si è trovato subito immerso nel mondo della ricerca biologica tramite una borsa di studio del Cnrs presso il Laboratorio del professor Giorgio Bernardi al “Centre de récherches sur lés macromolécules” di Strasburgo. Nel 1970 ha iniziato un percorso come ricercatore nell’Istituto di Biosintesi Vegetali del Cnr di Milano e nell’86 è diventato professore ordinario di genetica agraria all’Università della Basilicata per poi nel 1992 ottenere la cattedra di fisiologia vegetale all’Università degli Studi di Milano.



L’opzione per la ricerca è stata chiara in lui fin dall’inizio, come ha raccontato recentemente ripercorrendo il suo itinerario culturale: “sono sempre stato interessato e incuriosito dalle grandi domande che sottendono i fenomeni naturali e che emergono continuamente dalle indagini scientifiche. Sono le domande di tutti ma che per uno scienziato risuonano in modo particolare e si caricano di tutta la densità e la drammaticità che le conoscenze, oggi sempre più raffinate, comportano”. Era sempre molto attento a cogliere le novità offerte dal panorama scientifico internazionale e a individuarne le implicazioni sui grandi quadri teorici: così, ad esempio, era interessato a rivedere l’impianto generale delle teorie evolutive; come pure a far conoscere i nuovi paradigmi della genetica che criticano l’idea che ci sia un gene per ogni caratteristica dei viventi e superano le ricorrenti tendenze riduzioniste per aprirsi “all’immagine dell’unicità irriducibile dell’uomo e della contingenza di ogni vivente”.



I collaboratori più stretti lo descrivono come interessato e appassionato a molti argomenti diversi, con un’apertura e una vivacità intellettuale naturale ma che era stata amplificata e consolidata dall’incontro con don Luigi Giussani sui banchi del Liceo Berchet e dalla conseguente esperienza di un cristianesimo convincente ed entusiasmante. Spesso Carlo ricordava l’esperienza prorompente e audace dei primi anni di Gioventù Studentesca che aveva spinto dei giovani liceali a confrontarsi senza complessi di inferiorità con l’intellighenzia dell’epoca su argomenti caldi come il caso Galileo o il ruolo della scienza nella società, forti di un’esperienza di fede diventata cultura e capace di abbracciare l’umano in tutte le sue pieghe. E che questo non fosse un nostalgico ricordo del passato l’hanno constatato gli amici di Euresis (Associazione per la promozione e lo sviluppo della Cultura e del Lavoro Scientifico) con i quali Carlo ha condiviso un cammino di riflessione sull’esperienza scientifica che mette in risalto l’uomo prima dei risultati e che da questo trae criteri e forme per una comunicazione della scienza efficace e coinvolgente. L’hanno percepito anche i giovani studenti e ricercatori che hanno partecipato a iniziative come la realizzazione di alcune mostre scientifiche guidate da Carlo e curate da Euresis per il Meeting di Rimini: come quella sulla figura del grande genetista francese Jérôme Lejeune, o quella “Naturale, artificiale, coltivato – L’antico dialogo dell’uomo con la natura”. In entrambi i casi la sua preoccupazione era che, attraverso le storie particolari ben documentate e senza forzature ideologiche, venissero a galla gli interrogativi cruciali che ruotano attorno alle domanda sulla natura umana, sull’uomo e sul suo destino.

Chi ha lavorato con lui ricorda la serietà, la precisione, la fermezza sui temi che riteneva rilevanti, accanto a una sincera attenzione ai diversi punti di vista e ad una disponibilità al dialogo; il tutto sempre accompagnato da una sottile arguzia e stemperato da una fine ironia. E da un robusto ottimismo; intervistato da ilsussidiario.net sul futuro dell’uomo di fronte all’avanzare delle tecnoscienze, aveva affermato: “Non c’è da spaventarsi, o da sentirsi impreparati perché non riusciamo a immaginare il futuro. Come sarà il futuro e come si dovranno affrontare i problemi che sorgeranno dipende da come viviamo oggi, da come siamo consapevoli dei valori che caratterizzano l’umano e di come educhiamo a questi valori i nostri figli e nipoti”.