Ho smesso di scrivere negli ultimi tempi. A cosa serve la scrittura? A cosa serve la ricerca di un significato, in un mondo che lo rigetta in ogni momento e in ogni luogo? Non è più cosa utile inebriarsi di speranza, divenuta ormai un modo per sfuggire alla realtà, nella quale l’islam si è trasformato in spazio di crudeltà, in ideologia nemica della vita. Una realtà nella quale le società “post-secolari” – come le chiama Habermas – oscillano fra la certezza nichilista e l’inquietudine spirituale, di fronte alle sfide della globalizzazione e della modernità liquida che – secondo Bauman – conducono alla fluidità di relazioni e significati, al venir meno del sacro, sostituito dal vuoto che muove le paure, specialmente nei confronti dell’altro. Questo “altro” che ondate successive di migrazioni han tirato giù dal cielo dell’astratto, trasportandolo nello spazio di una società in cui il sentimento di vergogna per razzismo e fascismo regredisce sempre più, in ogni ambito.
Pensavo a questo quando l’ho visto: solo, seduto sul marciapiede, in attesa del treno per l’aeroporto, la sedia a rotelle impedita dalle tante borse colorate. Quando il treno è arrivato, mi sono mosso per aiutarlo a portare le borse. Il controllore gli ha chiesto perché non avesse chiesto aiuto, avendo lui diritto, come disabile, a un’assistenza personale per raggiungere il suo posto in aereo. Ibrahim, giovane invalido senegalese, non lo sapeva. Per questo ha commentato la domanda del controllore dicendo: “Benedizione del Natale!”.
Il controllore non capiva, ma io, musulmano come lui, ho compreso che Ibrahim stava parlando del madad, l’intervento divino che estende e allarga la realtà, al di là delle nostre conoscenze. Stava proclamando la sua attesa fiduciosa (rajā’, in arabo), cosa ben diversa dalla speranza (amal). La speranza esprime il nostro desiderio che si realizzi qualcosa, mentre l’attesa fiduciosa è il nostro costante attenderci che il bene accada. È il nostro aspettarci la sorpresa, al di là del nostro pensiero logico, al di là delle realistiche possibilità di vincere o perdere.
Ibrahim non si aspettava che quanti lo conoscevano gli avrebbero regalato un biglietto aereo per tornare dalla sua famiglia che non vedeva da anni. Non sapeva che lo avrebbero caricato di regali per loro. Non sapeva che ci sarebbe stato qualcuno che avrebbe portato le borse per lui e che avrebbe portato lui stesso fino al suo posto in aereo…
Dimentichiamo spesso che esistono un mondo e una realtà oltre i confini della nostra conoscenza, oltre la nostra limitatezza. Ho provato invidia – un’invidia positiva – per Ibrahim, l’invalido povero e solo, perché lui viveva nell’attesa fiduciosa. Forse, se domandassimo a Ibrahim delle sue speranze e ambizioni, esiterebbe a rispondere, ma di certo non potreste non notare la fiducia trapelante dai suoi occhi che qualche bene accadrà, a lui e al mondo.
Ero sull’aereo per Alessandria, dove avrei partecipato ai preparativi di un grande evento: l’antica Biblioteca aveva deciso di tradurre e pubblicare il libro La bellezza disarmata di Julián Carrón. Un onore straordinario, perché la Biblioteca pubblica libri soltanto quando vuole onorarne il valore intellettuale ed estetico. Un evento come questo era al di là di ogni aspettativa. Quella meraviglia, quella curiosità, quel desiderio che da tanti anni sentivo infiammare solo il mio cuore e la mia immaginazione, oggi sono condivisi dalle più importanti istituzioni culturali e personalità intellettuali e religiose. Quanto bene inaspettato ha sommerso la mia vita fino ad arrivare sin qua, a questo momento.
Maria ha portato su di sé una responsabilità enorme, in quanto donna in una società maschile che opprimeva le donne: una società oppressa, sotto il peso dell’occupazione; una società che opprimeva la fede, riducendola a regole trascendenti l’umano; una società che adorava un Dio che si manifestava attraverso la condanna del peccatore. In quella società, è nato Cristo e con lui essa è passata dalla condanna ad aprire la porta dell’attesa fiduciosa. A Natale dobbiamo aprire questa porta, per noi e per gli altri. Dobbiamo lavorare per realizzare le nostre speranze, senza dimenticare mai la limitatezza della nostra esperienza di Dio e senza dimenticare che, in un giorno come questo, oltre mille anni fa, è stata aperta, per tutti noi, la porta di questa fiduciosa attesa.