Sabato 15 dicembre si è tenuto a Kiev, nell’antica chiesa di Santa Sofia (oggi museo statale), il “Sinodo per l’unificazione della Chiesa Ucraina”, convocato dal Patriarca di Costantinopoli dietro richiesta del presidente ucraino Poroshenko. Dei vescovi convocati (ciascuno dei quali poteva recarsi al Sinodo accompagnato da un sacerdote e da un monaco o un laico della sua giurisdizione) si sono presentati in massa quelli appartenenti alle due chiese considerate fino a poco fa “scismatiche” da tutte le Chiese ortodosse canoniche (Chiesa Ortodossa Ucraina – Patriarcato di Kiev e Chiesa Ortodossa Autocefala Ucraina), e riaccolte nel seno del Patriarcato di Costantinopoli l’11 ottobre scorso, con una decisione voluta dal Patriarca Bartolomeo che Mosca non solo non ha riconosciuto, ma che ha portato la Chiesa Ortodossa Russa a rompere la comunione eucaristica con la Chiesa di Costantinopoli. Dei vescovi della Metropolia di Kiev unita al Patriarcato di Mosca, solo due hanno sfidato il divieto di partecipazione deciso dal Metropolita Onufriy (di obbedienza moscovita) e si sono uniti ai lavori del Sinodo.
All’ordine del giorno del Sinodo kieviano c’erano sostanzialmente due temi: l’approvazione dello Statuto della costituenda Chiesa Ortodossa in Ucraina (il cui testo fu redatto e fornito da Bartolomeo in una forma che sottolinea particolarmente il legame con la “Chiesa-madre” di Costantinopoli) e la scelta del suo primate, che avrà il titolo di “Metropolita di Kiev e di tutta l’Ucraina” e si recherà il prossimo 6 gennaio a Costantinopoli (accompagnato dal presidente Poroshenko) per ricevere da Bartolomeo il tomos di concessione dell’autocefalia.
Nonostante un ritardo nell’avvio dei lavori – dovuto al fatto che i due vescovi della Chiesa Ortodossa Ucraina presenti (Patriarcato di Mosca) portavano con sé la delega di altri 8 vescovi, cosa non accettata dalla presidenza del Sinodo che esigeva la loro presenza fisica” – lo Statuto è stato approvato, e nel tardo pomeriggio le campane di Santa Sofia hanno potuto salutare l’elezione a Metropolita di Kiev (nonché Primate della Chiesa Ortodossa in Ucraina) di Epifaniy Dumenko, già braccio destro di Filaret (Denisenko), capo dell’autoproclamato “Patriarcato di Kiev”, i cui rappresentanti si erano riuniti già il 13 dicembre per eleggere il loro candidato in vista del “Sinodo per la riunificazione”.
Davanti alle persone riunite nella piazza antistante il complesso di Santa Sofia, il presidente Poroshenko (che ha partecipato a tutto il Sinodo sedendo alla destra del suo presidente, il Metropolita Emmanuel di Francia, rappresentante del Patriarca di Costantinopoli, e ha rivolto un discorso ai presenti all’inizio dell’assemblea) e il presidente della Verkhovna Rada (il parlamento ucraino), hanno tenuto due discorsi fortemente improntati a temi patriottici e di affermazione dell’indipendenza – anche ecclesiale – dell’Ucraina da Mosca, presentando il nuovo Metropolita come capo di una Chiesa “senza Putin e senza Kirill”.
Già domenica 16 dicembre il Patriarca di Costantinopoli, durante la celebrazione della Divina Liturgia, ha incluso il Metropolita Epifaniy nei “dittici”, ovvero nell’elenco dei capi delle Chiese locali ortodosse con cui è in comunione. Sull’altro versante, il Sinodo della Chiesa Ortodossa Ucraina facente parte del Patriarcato di Mosca ha deposto i suoi due vescovi che hanno partecipato al Sinodo, oltre a ribadire che considera assolutamente nulle le decisioni ivi assunte. Da Mosca si è sottolineato che la fondazione della nuova Chiesa ucraina non fa che allargare il fossato di separazione che ha già portato alla rottura della comunione eucaristica con Costantinopoli.
Si apre ora la difficile questione relativa al riconoscimento di questa nuova Chiesa da parte di tutte le altre Chiese Ortodosse: un riconoscimento, al momento, tutt’altro che scontato, e che vede perdurare una dolorosa situazione di divisione all’interno dell’Ortodossia.
Sicuramente – rispetto alle aspettative di molti, sul versante costantinopolitano – non si è verificata né una massiccia partecipazione al Sinodo da parte dei vescovi della Metropolia di Kiev unita al Patriarcato di Mosca, né – almeno per ora – un esodo di fedeli verso la nuova Chiesa nazionale ucraina: fenomeni, questi, che avrebbero confermato quel distacco che si voleva già avvenuto tra i fedeli ortodossi cittadini ucraini e le parrocchie facenti riferimento al Patriarcato di Mosca. La situazione, dunque, si rivela ancora molto incerta e indeterminata, mentre rimane la ferita di una distanza tra Mosca e Costantinopoli che rischia di “cronicizzarsi” e di mettere in difficoltà tutti i rapporti inter-ortodossi (e, potenzialmente, anche quelli con la Chiesa cattolica), mentre a nessuno è sfuggito l’elevatissimo grado di politicizzazione della questione ecclesiale ucraina, testimoniato dalla massiccia – e non poco ingombrante – presenza del presidente ucraino Poroshenko in tutte le fasi del Sinodo.
La via della riconciliazione tra i credenti ortodossi in Ucraina è quindi ben lungi dall’essere compiuta, mentre del tutto aperto rimane il nodo dei rapporti tra Mosca e Costantinopoli, mai così in sofferenza negli ultimi decenni. Rimane così attualissimo il duplice invito espresso da papa Francesco affinché i cattolici non si intromettano nelle questioni interne ortodosse, e perché la partecipazione più reale a questi tristi avvenimenti rimanga quella della preghiera per l’unità della Chiesa e tra le Chiese.