Papa Benedetto XVI, (non è solo) il Papa della rinuncia: ci siamo permessi una piccola “critica” al titolo del documentario che questa sera – dopo il grande successo della prima puntata dedicata a Papa Francesco – vede sul canale Nove lo speciale tutto su Joseph Ratzinger, il primo Papa Emerito della storia. La rinuncia in quella clamorosa “Declaratio” del 2013, ma non solo appunto: è stato, anzi è, il Pontefice che tutti ritenevano “di passaggio” dopo un grande rivoluzionario come Giovanni Paolo II (di cui Ratzinger condivise fino nel profondo delle novità teologiche, spesso decise in tandem nei lunghi anni alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede) e un possibile nuovo riformatore (come poi è avvenuto con Papa Bergoglio). Benedetto XVI è molto di più, una delle menti più fini dell’intero Novecento, protagonista teologo ma anche straordinario comunicatore dello stile, della forma e del contenuto “mite” ma senza fronzoli e soprattutto senza scendere mai a patti con l’avversario identificato nella dittatura del relativismo che affligge la modernità tutt’oggi. Nell’introduzione del documentario si ricorda bene «Il Papa dalla dolcezza nascosta, il Papa che a Madrid, nella veglia precedente la Giornata Mondiale della Gioventù, resta sotto una tempesta pur di stare in mezzo alla folla dei giovani che lo aveva accolto, il Papa che trova nella musica una via verso Dio, ma anche il Pontefice che visita rispettoso e scalzo la Moschea Blu di Istanbul. Il Pontefice che, posto davanti alle numerose sfide del proprio pontificato, ha reagito con un’umiltà fuori dal comune».



LA RINUNCIA E LA PREGHIERA

il documentario dedicato a Papa Benedetto XVI ovviamente non poteva che riguardare in gran parte anche la rinuncia finale avvenuta quel 10 febbraio 2013 che tutti ricorderanno per sempre. In un breve discorso tenuto in latino, l’annuncio che scosse il mondo della cristianità: “Il Papa si dimette”, la notizia corse per tutto il globo e ancora oggi scatena “interpretazioni” e “tentativi di spiegazione” che portano dietro innumerevoli motivazioni. «Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando», spiegava il Papa tedesco davanti alla platea attonita. Poi la conclusione «Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice». Da allora il ritiro in preghiera all’interno delle mura vaticane, non senza qualche “comparsa” per diverse volte anche dopo quel 2013 tanto da divenire abitudine la visita tra l’attuale Pontefice e il Papa Emerito.



RAGIONE E LIBERTÀ NELLA FEDE

Proprio il fatto di aver mantenuto il vestito bianco e la titolarità del Pontificato (con l’aggiunta di “emerito”) è la vera rivoluzione di Benedetto XVI (le dimissioni nella lunga storia della Chiesa erano già avvenute diverse volte): un Pontefice che ha dedicato ancor più di prima la sua persona e la sua opera per il bene della Chiesa e dello “sposo” Cristo Gesù, non disdegnando di intervenire laddove interpellato su sfide culturali, teologiche e filosofiche sempre con una punta di ironia e arguzia umana fuori dal comune. Un errore però definire Ratzinger come “solo” il Papa della rinuncia: dalla lotta alla pedofilia al famoso discorso di Ratisbona dove non ebbe timore nel ritenere inconcepibile una religione che si fonda sulla violenza e l’eliminazione dell’altrui persona (l’Islam), «contro ogni violenza ed ogni guerra santa». Benedetto XVI volle esprimere in maniera intrepida quel famoso 12 settembre 2006 nel discorso di Ratisbona (per cui l’Islam lo mise nell’obiettivo degli “scandali cristiani” contro la religione musulmana): «evidenziò come l’affermazione decisiva dell’argomentazione dell’imperatore Manuele II contro la conversione mediante violenza fosse, proprio partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, quella per cui “non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio», come scrisse Papa Bergoglio qualche mese fa in una prefazione al libro di Ratzinger «Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio». Ma ancora, è il Papa della libertà e della ragione, in piena discendenza con il pensiero di Sant’Agostino e San Paolo: le grandi vette culturali e intellettuali assieme ad una fede genuina e semplice, mai vacillante e sempre proposta al mondo (come nelle splendide Giornate Mondiali della Gioventù). Insomma, tutto era già scritto in quel primo brevissimo discorso il 19 aprile 2005 a Piazza San Pietro ma in realtà al mondo intero: «dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere. Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente, andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà e Maria sua Santissima Madre starà dalla nostra parte. Grazie». Lì diveniva Benedetto XVI, segnando per sempre la storia non solo della Chiesa ma dell’intera modernità.

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