“Moltiplicando un numero per zero il risultato è sempre zero, dividendo un numero per zero il risultato è infinito. Dunque lo zero è l’alfa o l’omega, il principio o la fine. Riconoscersi uno zero è la cosa più ragionevole che possiamo fare nella misura in cui nel cuore di questo zero zampilli drammatico, urgente, fiducioso e gioioso il grido “Salvami!””.
Sebbene Renato Fiacchini abbia scelto il nome d’arte “Renato Zero” in modo ironico, perché a inizio carriera tutti o quasi, imprenditori o discografici, continuavano a ripetergli che era dal punto di vista artistico “uno zero”, le parole di Elio Berti e Luisa Vassallo, autori del nuovo libro dedicato all’artista romano (“Arrivo a Zero, sulle tracce di Renato”; Edizioni Ancora; 164 pag.; 16 euro) spiegano benissimo la ricchezza umana e spirituale di questo artista.
Il libro non è l’ennesima biografia o l’indagine pseudo sociologica di cui abbandonano le librerie, ma è un progetto originalissimo e geniale. Soprattutto è scritto con un grande cuore. E’ quasi un romanzo. Gli autori immaginano una donna (pensiamo sia l’autrice Luisa Vassallo) che trova casualmente su un aereo un piccolo diario dalla copertina arancione; non trovando il proprietario, lei lo porta via quasi senza accorgersene di farlo. Ma quando lo apre rimane incollata a quelle pagine, che cambieranno la sua percezione della musica, dell’arte della canzone e soprattutto, da neofita, la introdurranno in quel grande “carrozzone” che è la vita di Renato Zero.
Un artista sebbene di successo straordinario con dozzine di milioni di copie di dischi vendute e tournée sempre tutto esaurito, che è però rimasto nell’immaginario pubblico come una sorta di clown, non per capirsi uno di quei cantautori “seriosi” e impegnati di cui è piena la canzone italiana. Ma lui è proprio questo, il protagonista di un circo immaginario, ricco di maschere, trucchi e anche di una visione drammatica della vita. Il fatto di aver cominciato, nei primissimi anni 70, proponendosi come una sorta di David Bowie nostrano, una sorta di transessuale che si vestiva da donna, il primo portavoce della rivoluzione bisex in Italia, lasciò moltissimi perplessi, in una decade impregnata di impegno politico.
Ma scavando come fa l’autore del misterioso diario, a poco a poco si scopre che c’è molto di più: “Era la ricerca dell’identità che giustifica errori, malintesi, contrattempi. La trasgressione è la timidezza che si maschera. E’ la valvola di sfogo della disperazione, che ti evita il manicomio, la casa di recupero” dice Zero di sé. Si scopre una corrispondenza che va al di là della musica e non è un caso che nasca una esperienza straordinaria, quella dei “sorcini”, il popolo di fan che lo segue concerto per concerto e generazione dopo generazione, fino al sogno di una città, Zerolandia, una sorta di comune che però rimarrà un sogno.
Renato Zero arriverà così anche in Vaticano, con una canzone che si intitola La vita è un dono: “Combatte ognuno come è capace, chi cerca nel suo cuore non si sbaglia (…) Ogni emozione ogni cosa è grazia”.
Il libro contiene poi una biografia dettagliata, anno per anno; una disanima approfondita delle sue tecniche teatrali e dell’uso del corpo; i costumi e le scenografie; le testimonianze di diversi sorcini.
Un libro affascinante e bello da leggere anche se non si è fan sfegatati di Renato Zero, perché contiene riflessioni pregnanti sul senso di Mistero che abita tutto il mondo dell’espressione artistica, e che oggi quasi nessuno sa più riconoscere: “Albert Camus scriveva: se il mondo fosse chiaro, l’arte non esisterebbe più”, citano gli autori come monito che vale per tutti.