Gira voce che la famiglia di Emanuela Orlandi avrebbe presentato alla Santa Sede, nella persona del cardinale Parolin, una nuova istanza a proposito del ritrovamento del cadavere della figlia: bisognerebbe, questa volta, scavare nel cimitero teutonico che si trova oltre le mura vaticane. Oltre all’utilizzo di tutti i congiuntivi e i condizionali necessari alla costruzione dei periodi ipotetici, dobbiamo farci un’altra domanda. Se tale richiesta fosse davvero avvenuta, quale sarebbe la notizia? Una notizia sarebbe un significativo passo in avanti nelle indagini, un ritrovamento vero di qualcosa, una svolta importante, ma in questo caso cosa abbiamo? Perché le versioni online di Corriere della Sera, Repubblica, Il Messaggero, La Stampa, Il Fatto Quotidiano, con gli immaginabili echi dell’intera corte mediatica, si fiondano su questa “bolla giornalistica” che, speriamo, abbia più che qualche vaga ombra di verosimiglianza? Chi ha interesse a tenere viva una suspence riguardo una povera ragazza quindicenne svanita nel nulla il 22 giugno 1983? È possibile che una “non notizia” del genere trovi tanto spazio?



Sì, è possibile se alcuni media, all’inseguimento dell’avanzata dei social, decidono di trasformarsi in tanti piccoli sceneggiatori che scimmiottano Dan Brown perché mischiare il diavolo e l’acqua santa funziona sempre. Nel caso di Emanuela Orlandi, abbiamo la succulenta possibilità di far presumere alla gente che il Vaticano – cioè Papa, cardinali e così via – uccidano una quindicenne e ne occultino il cadavere per coprire degli affari loschi e irripetibili.



Non dimentichiamo che Il Codice da Vinci ha venduto più di 80 milioni di copie, mettendo assieme abilmente fatti, ipotesi e invenzioni che raccontano come Gesù avesse moglie e figli perseguitati nei secoli da una chiesa ufficiale che commetteva senza battere ciglio i crimini più atroci. Poiché la vicenda di Emanuela Orlandi ha molti punti in comune con Il Codice da Vinci, mettiamoci il cuore in pace e rassegniamoci ad avere, a scadenza determinata, nuove stagioni della fiction. Però, se la notizia della cosiddetta nuova istanza si rivelasse una sorta di fake news, sarebbe molto peggio che una macabra riedizione del romanzo di Dan Brown. Perché quello, appunto, è in ogni caso una storia di finzione: qui invece si sguazza nel mistero della morte di un’adolescente e non si lascia in pace nessuno.



Se con queste supposte “notizie” si vuol andare contro la Chiesa, o contro certi ambienti ecclesiastici che si reputano corrotti, ci si sbaglia e di grosso. Non perché nella Chiesa non ci siano peccati ed errori ma perché, mettendo sullo stesso piano ipotesi, fatti ed interpretazioni, si finisce col favorire chi volesse nascondere e insabbiare. Non bisogna far silenzio sulla vicenda di Emanuela: occorrono indagini, ma serie. Lontane dai romanzi, dal finto clima da thriller gotico. La fine di quella fanciulla non è un episodio da romanzo: è la vita sofferente di chi ancora cerca la verità ed ha il diritto di trovarla.