Caro direttore,
Italia carismatica di Andrea Riccardi, da poco in libreria per Morcelliana, merita recensioni specialistiche, come quella già comparsa sul Corriere della Sera a firma di Marco Ventura. Al semplice lettore professionale – com’è il giornalista – resta la facoltà di porre qualche post-it fra le pagine di un libro ricchissimo di dati e spunti di storia contemporanea della Chiesa italiana.



La mano dell’autore è certamente degna del miglior giornalismo, è fulminante nel porre subito la questione. La prima pagina conduce senza indugi dentro lo studio dell’arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini, mentre è a colloquio con padre David Maria Turoldo, venuto a chiedergli una prefazione per un libro di don Lorenzo Milani. Il futuro Papa Paolo VI esita: “Corrono tempi difficili”. Riccardi nella primissima riga parla di “denso senso di crisi” negli ultimi anni di pontificato di Pio XII. Poco oltre, nella stessa pagina, lascia che sia Montini stesso ad emettere una diagnosi della consueta e preveggente lucidità.



“È ancora diffuso da noi il detto che l’Italia è un paese cattolico, perché, per fortuna, la grande maggioranza dei suoi abitanti riceve ancora il battesimo; ma non si riflette abbastanza su quanti non vivono in conformità alla dignità e all’impegno morale che il battesimo porta con sé. (..) Dobbiamo riconoscere che gran parte dei nostri fedeli sono infedeli, che il numero dei lontani supera quello dei vicini e che il raggio pastorale, in molte parti, va gradatamente restringendosi…”.

Sessant’anni fa, oggi. Nelle oltre duecento pagine che seguono Riccardi s’impegna a raccontare come i cattolici italiani e la loro Chiesa si siano via via misurati con quella crisi. Come abbia preso ad affrontarla anzitutto Paolo VI, il protagonista del Concilio (i successori non italiani restano più sullo sfondo). Come la lunga crisi è stata vissuta da vescovi, sacerdoti, religiosi, laici: qualunque sia stato lo spazio/tempo della particolare “resistenza” di ciascuno, qualunque ne sia stato l’esito.



Per lo storico romano la chiave storico-narrativa privilegiata è comunque chiara: l’emergere – o il riemergere – dei  “carismi” del cattolicesimo italiano. Carismi antichi: come quelli dei santuari, i mille “luoghi santi” di un cristianesimo autenticamente popolare. O carismi nuovi: quelli dei “movimenti” cui Riccardi riconosce l’indubbio ruolo di propulsori “sorgivi” del rinnovamento di quella Chiesa irrigidita e istituzionale che – alla fine degli anni 50 – preoccupava così tanto l’arcivescovo di Milano.

Sono centinaia i nomi e gli eventi raccolti in pagina con stile serrato appassionato e appassionante. A conti fatti sembra mancare un nome soltanto: quello della Comunità di Sant’Egidio, di cui Riccardi è stato fondatore nell’anno-spartiacque 1968. È stato verosimilmente un gesto di umiltà, da parte dell’autore; e di rispetto per i canoni della buona storiografia. Resta il fatto che in una monografia sui “carismi” della Chiesa italiana odierna, solo della Comunità tiberina non viene approfondito il ruolo e il contributo. Solo Sant’Egidio resta, per così dire, senza il “rating” che invece in qualche modo il libro assegna agli altri movimenti. Operando scelte: che costituiscono sempre un atto di coraggio intellettuale e vanno a pregio indiscusso di un’opera.

Se chiamato a comporre una pagina di quotidiano sullo stesso tema, un giornalista avrebbe certamente potuto condividere la scelta di Riccardi: aprendola con una fotoscheda di Chiara Lubich, non solo in omaggio a una pionieristica testimonianza femminile nella Chiesa preconciliare. Sicuramente non avrebbe rinunciato, il giornalista, ad alcuna delle altre sei “icone” scelte dallo storico: padre Riccardo Lombardi, don Zeno Saltini, Giorgio La Pira, don Lorenzo Milani, don Oreste Benzi e don Luigi Guanella.

Meno facilmente, invece, un montaggio giornalistico avrebbe lasciato in seconda fila don Luigi Giussani (alla cui esperienza in Gs e poi in Cl il libro riserva comunque cinque pagine). E difficilmente avrebbe escluso fratel Enzo Bianchi e la sua Comunità di Bose: di cui invece Riccardi registra praticamente solo la data di nascita. Chissà se la lente giornalistica sui carismi del cattolicesimo italiano degli ultimi sei decenni avrebbe fatto risaltare la figura di padre Pio: la cui calda fede “meridiana” è invece uno dei molti fili rossi che intrecciano il volume. E di fronte alla necessità di scegliere una foto su un gesuita-simbolo della mutazione “carismatica” della Chiesa italiana nella stagione conciliare, nella redazione di un quotidiano si sarebbe forse optato per il cardinale Carlo Maria Martini (nella Milano del lungo post-Concilio) o per padre Bartolomeo Sorge, in trincea popolare a Palermo; non per il quasi dimenticato “Microfono di Dio”, benché predicatore infiammato ai tempi dell’Azione Cattolica di Luigi Gedda, che inquadrava milioni di cattolici italiani. 

Ma è certamente la differenza di prospettiva a impedire alla lettura veloce di un cronista di mettere subito perfettamente a fuoco il gioco culturale delle domande e delle risposte intrecciate da Riccardi. Se comunque non è fuori luogo parlare di “tesi” per un’opera storiografica, essa appare la seguente: il futuro del cattolicesimo in Italia è già iniziato da tempo, con la robusta germinazione “conciliare” dei movimenti, nel parto – spesso travagliato – di nuovi carismi di popolo; ma ora appare ineludibile avviare una decisiva verifica storico-culturale (ed evidentemente ecclesiale) sul processo tumultuoso di rigenerazione – di “distruzione creativa” – della Chiesa-organizzazione “tridentina” operato dal Concilio. Non tutti i movimenti sono (stati) di per sé “risorgivi”. Non tutti i carismi hanno “rinfrescato” la Chiesa italiana. Non tutti i fedeli – avrebbe forse scritto pensoso l’arcivescovo Montini – sono (stati) davvero fedeli al carisma rifondante del Concilio. Quello di Papa Paolo VI. 

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