Per la prima volta in Italia è stata eseguita un’operazione speciale presso l’ospedale di Circolo di Varese, leggasi quella che permette di introdurre il “chiodo endomidollare per osteointegrazione”. Si tratta della frontiera più avanzata per quei pazienti che hanno le gambe amputate e sono dotati di protesi. La tecnologia, come specifica Varese News, è stata messa a punto nel nord dell’Europa e la scorsa settimana è stata applicata per la prima volta nel nostro Paese. I primi due interventi sono stati effettuati di preciso dall’equipe ortopedica del Prof. Fabio D’Angelo, insieme ai dottori Giorgio Masotti e Gabriele Gritti e al chirurgo australiano Munjed al Muderis della “Macquarie University Hospital –Sydney (Australia)”.



Ogni anno vi sono circa 50 pazienti che vengono amputati alle gambe presso l’ospedale di Varese e di questi l’85 per cento avviene per cause di tipo vascolare, ma anche per complicanze dovute a diabete ed aneurismi, e il restante 15 per cento a seguito di traumi. «Il chiodo endomidollare viene realizzato per essere inserito all’interno dell’ultimo segmento osseo dell’arto e lasciato sporgere all’esterno del moncone, per agganciarvi la protesi – le parole del Prof. D’Angelo, docente dell’Università dell’Insubria di Varese – In questo modo la protesi diventa a tutti gli effetti il prolungamento dell’osso, favorendo una camminata più fluida e riducendo altre complicazioni».



CHIODO ENDOMIDOLLARE, IL COMMENTO DEL DOTTOR BERTONI

Il Dott. Michele Bertoni, Direttore della Riabilitazione e Rieducazione funzionale, ha aggiunto: «Grazie all’inserimento del chiodo nell’osso e ad un’adeguato percorso riabilitativo, questi pazienti, al terzo mese dall’intervento camminano normalmente, contando su una soluzione durevole».

Dopo l’intervento il paziente, grazie alla rieducazione, potrà vivere una vita il più possibile prossima a quella dell’amputazione. In questa operazione speciale e d’elite risulta fondamentale il ruolo dei chirurghi vascolari: «Questa nuova tecnica agevola il nostro lavoro consentendoci di offrire prospettive nuove per i pazienti che, a causa di patologie vascolari, si ritrovano a dover vivere con un arto amputato» le parole del Prof. Matteo Tozzi, anche lui docente dell’Università dell’Insubria di Varese.