I dati Istat del commercio al dettaglio relativi a maggio parlano di una crescita delle vendite sia dal punto di vista del valore che da quello dei volumi. L’aumento congiunturale è dello 0,7% per quanto riguarda il valore e dello 0,2% dal punto di vista dei volumi. Ma i dati raccolti dicono anche un’altra cosa: su base tendenziale la grande distribuzione è quella che sta avendo i numeri migliori e crescono gli affari anche del commercio elettronico, mentre non va altrettanto bene per le imprese che operano su piccole superfici. I numeri positivi, in quest’ultimo caso, non ci sono. Anzi, c’è una flessione.
Ritorna quindi d’attualità l’annoso tema della sopravvivenza dei negozi di prossimità. Un’idea per salvarli, dice Augusto Patrignani presidente di Confcommercio della provincia Forlì-Cesena, riprendendo una proposta avanzata nel suo territorio, è quella di considerarli un servizio pubblico e di dare degli incentivi, ance dal punto di vista fiscale, a chi li vuole aprire e tenere in vita.
I piccoli negozi sono quelli che stanno pagando più caro questo periodo di inflazione e di contrazione della spesa da parte dei consumatori?
I negozi sono quelli che, ormai da anni a questa parte, a ogni spirar del vento vanno in difficoltà, vuoi perché l’online cresce, vuoi perché la grande distribuzione fa di tutto per attirare i clienti sempre più in difficoltà. Nelle nostre città, nei quartieri, invece, non c’è l’attenzione dovuta a quella che dovrebbe essere una grande rete commerciale a cielo aperto, mentre la grande distribuzione si inventa promozioni, abbellendo la struttura, introducendo servizi, e l’online, soprattutto dopo il Covid, è diventato un’abitudine per molti se non per tutti.
Perché è così importante salvaguardare queste attività?
In città, in periferia, nelle frazioni se chiude un negozio essenziale si rischia di perdere clienti anche negli altri negozi, c’è meno gente che frequenta anche lì. Per questo ai nostri amministratori chiediamo una mappatura dei comuni, dei centri storici e delle frazioni per mettere in evidenza i settori merceologici che mancano o sarebbero da rafforzare, prestando attenzione all’arredo urbano. Perché la grande distribuzione migliora le vetrine, le panchine, i parcheggi, i cartelloni, mentre invece i quartieri e i comuni a volte rimangono senza manutenzione, anche senza pulizia nelle strade.
Sul vostro territorio avete chiesto di stipulare un patto con i comuni in cui i negozi vengano considerati servizi pubblici, incentivando chi vuole aprire un’attività di questo tipo. Come dovrebbero agire le amministrazioni comunali?
Se in una frazione chiude un panificio, chiude un servizio essenziale. Il panificio poi, attira tanta gente e chi va lì poi magari si ferma anche in un negozio di fiori, di scarpe o in un altro esercizio. Se mi devo spostare per trovare il pane compro anche tutto il resto nel luogo in cui mi sposto. I servizi essenziali dovrebbero essere molto coccolati. Bisogna fare in modo che la rete distributiva nelle frazioni e nei comuni ci sia tutta, che sia completa. Se manca qualcosa di essenziale il Comune dovrebbe fare in modo che questo servizio venga ripristinato, anche con degli incentivi.
In questi incentivi sono comprese anche delle facilitazioni tributarie?
Meno tasse o in generale incentivi che rendano conveniente aprire un’attività. Non può essere qualcosa una tantum, ma che duri nel tempo, per diversi anni, fino a quando magari l’azienda non si è strutturata.
È un’idea che volete portare avanti a Cesena oppure Confcommercio la vuole applicare anche nelle altre parti d’Italia?
È un’idea che abbiamo avuto a Cesena per spingere le amministrazioni a ragionare in questo senso, ma secondo me potrebbe essere estesa a tutta Italia. Se nei borghi, in collina, nelle montagne o nelle frazioni più lontane chiudono negozi che sono servizi essenziali la popolazione si deve spostare. Se assicuriamo qualche vantaggio agli esercizi essenziali, per fare in modo che rimangano, aiutiamo a non desertificare quei luoghi. Bisogna che i nostri centri storici, le nostre periferie, vengano abbellite continuamente. Invece a volte abbiamo la sensazione che l’arredo urbano sia fatto a spot, mai coordinato.
Ci sono statistiche a livello nazionale secondo le quali ogni ora chiudono due negozi. Che cosa riscontra nella sua esperienza da questo punto di vista?
Nel nostro comprensorio no. È chiaro comunque che i negozi di vicinato sono sempre in grande difficoltà. I problemi sono tanti: il caro energia, la guerra, il Covid. I negozi di prossimità sono quelli che hanno subito di più questa situazione. In alcuni casi ci si mettono anche i parcheggi: per trovare un posto auto bisogna “fare un mutuo”. Non si dà la possibilità ai clienti di avvicinarsi. Anche su questo bisognerebbe lavorare.
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