La procura di Genova lunedì ha disposto la chiusura dell’A26 in Liguria e ieri il procuratore capo di spiegava che “la Procura ha riscontrato gravi ammaloramenti e abbiamo segnalato criticità sul ponte Fado in direzione Alessandria e sul Pecetti direzione Genova Ventimiglia sulla A26. Rappresentanti di Aspi hanno preso atto e sono intervenuti. La procura attende verifiche di sicurezza condotte dalla società concessionaria secondo le norme di legge”. Dopo il crollo del ponte di domenica, a causa di una frana, la decisione della Procura ha comprensibilmente riacceso l’attenzione su autostrade e dintorni.
La storia continua a essere raccontata “male”; ricordiamo che il giorno dopo la tragedia del ponte Morandi primari organi di informazione nazionale riuscivano nell’impresa di scrivere 14 pagine sulla vicenda senza mai nominare la parola “Atlantia” e “Benetton”. In questi giorni le colpe della cattiva manutenzione o dei ponti che crollano “perché piove” e in generale della situazione “autostradale” vengono genericamente attribuite al “Paese”. Facciamo un po’ di distinzioni; tra le moltissime colpe che ci possono o non ci possono essere sicuramente non possiamo parlare di concessionari autostradali “poveri”.
Infatti, il primo e il secondo operatore stradale italiano, in un business che notoriamente è caratterizzato da una competizione sfrenata e dove l’innovazione di prodotto rimane un “tool” competitivo imprescindibile, hanno avuto la fortuna di poter avventurarsi in acquisizioni miliardarie per cassa sfidando e vincendo una competizione fatta anche di private equity e fondi infrastrutturali globali. Questo con i proventi realizzati sulle autostrade italiane in un settore dove non ci sono leve né per influenzare le quantità vendute, dato che il traffico è sostanzialmente un dato che dipende da Pil e da trend globali (come il prezzo del petrolio), né il prezzo visto che le tariffe sono predeterminate. Autostrade per l’Italia nel 2017 (l’anno prima del crollo del ponte Morandi) ha chiuso con un reddito operativo lordo di circa 2,3 miliardi di euro rispetto agli 1,8 miliardi del 2007; nel frattempo l’Italia è passata per due crisi serie ravvicinate, 2009/post Lehman e 2012/Monti, che l’hanno devastata. Nei primi nove mesi del 2019 il reddito operativo lordo di Autostrade per l’Italia, dopo il crollo del ponte Morandi, era del 5% inferiore a quello del 2018.
Il problema dei ponti autostradali italiani non è né un problema direttamente causato dallo Stato italiano, né relativo alla povertà dei concessionari, né alla furbizia degli italiani che non pagano. Evidentemente nel processo di privatizzazione e nel rapporto tra concedente, Stato italiano, e concessionario, società private, qualcosa è andato storto, per il contribuente, perché ritrovarsi concessionari che comprano a cifre piene in mezzo mondo sostanzialmente con i soldi fatti in Italia su un monopolio e i ponti che crollano oltretutto con tutto quello che sembra emergere dalle intercettazioni è la prova di un fallimento che ha vincitori e vinti.
La questione che si pone adesso è in che misura si debbano garantire i contratti anche se i ponti dovessero essere manutenuti in modo inadeguato e soprattutto quale approccio adottare. Dovrebbe essere evidente che lo Stato italiano non può rimanere in guerra con il o i gestori di un’infrastruttura strategica per i prossimi anni in attesa che “la magistratura faccia il suo corso” mentre magari si scoprono magagne più o meno grandi. Certo non possiamo aspettarci che sia questo il governo a prendere una decisione di sistema che rischia di certificare che la stagione delle privatizzazioni e “liberalizzazioni” sia stata un fallimento, anche perché i governi degli ultimi 30 anni hanno nomi e cognomi, però è un auspicio legittimo. Continuare a raccontare la storia come si è fatto un anno fa e ancora oggi non aiuta e sembra anche sospetto.
Oggi i ponti crollano e i concessionari generano cassa come e meglio che nel 2007. Probabilmente è tutto regolare, lecito e secondo i contratti, però i problemi rimangono e sono anche grandi. “Piove governo ladro” in questo caso è davvero pochissimo come analisi, anche se solleva un grande nebbia.