Aumentano le regioni rosse, ma sulla scuola Giuseppe Conte, nonostante voci allarmistiche insinuavano la chiusura anche delle elementari e della prima media, è stato deciso: ““Dobbiamo essere franchi sulla scuola, la ricerca e i dati dicono che non sono focolai di diffusione dei contagi. Noi cerchiamo di analizzare i dati, abbiamo un approccio pragmatico. C’è un valore della didattica in presenza, dove la relazione interpersonale è fondamentale” ha detto. La discussione è in corso da quando è stata decisa la chiusura di tutti gli altri livelli scolastici (solo le matricole al primo anno universitario possono partecipare in presenza alle lezioni), un dibattito tra chi vuole le scuole aperte e chi lo sconsiglia perché rischioso. La scuola infatti significa non solo lezioni in classe, ma anche trasporti, contatti prima di entrare e all’uscita, e anche se i bambini delle elementari non subiscono danni, possono essere contagiosi e diffondere il Covid in famiglia. “C’è un aspetto psicologico importante” ci ha detto in questa intervista Roberto Cauda, professore ordinario di Malattie infettive nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, “ed è per quello che è stato deciso con intelligenza di lasciare a scuola i ragazzi più grandi, evitandolo a quelli più piccoli. La chiusura delle scuole non è una cosa normale, avrebbe dovuto essere evitata, ma situazioni come questa, con le cifre dei contagi sono molto alte e l’emergenza di posti ospedalieri, impongono decisioni che non si sarebbe voluto prendere”.



Si sono superati i 40mila contagi giornalieri, le regioni rosse salgono a nove. Ci sarà bisogno di arrivare a nuove misure restrittive, ad esempio con le scuole ancora aperte, le elementari?

Analizziamo la situazione. Ci sono vari approcci per ridurre i contagi e abbassare il livello di Rt che deve rimanere sotto all’1 come era questa estate. Al momento siamo tra l’1,31 e l’1,36. Questo valore non basta, l’indice di trasmissione deve scendere sotto l’1 e rimanerci per un paio di settimane se si vuole ridurre l’impatto sugli ospedali e sulle terapie intensive.



Come muoversi allora?

Nelle misure di prevenzione ci sono due estremi. Quello della Svezia, con massima libertà e apertura che però sembra non abbia portato grandi benefici, anzi il contrario, e dall’altra il lockdown duro, come abbiamo fatto a primavera. C’è però una via di mezzo, passando dalle chiusure nelle ore notturne a chiusure sempre più strette. Dal punto di vista epidemiologico aver suddiviso l’Italia in zone di tre colori presenta aspetti interessanti, perché ci dà la possibilità di essere flessibili, nell’ottica di impedire il lockdown totale che ha un peso dal punto di vista sanitario ed economico notevole.



Ci spieghi meglio.

Il modello stop and go, due settimane o un mese di chiusura seguito da un periodo di apertura fino a quando il livello di contagio non cala. Il modello dei tre colori potrebbe rappresentare un buon compromesso, ma bisogna vedere se funziona, adesso è troppo presto per dirlo. In questo momento forse stiamo beneficiando in maniera non ancora risolutiva delle prime misure messe in atto 15 giorni fa, non ancora quelle messe in atto con i tre colori. La curva adesso oscilla, mentre prima saliva, adesso siamo a un plateau che non è sufficiente, la situazione è ancora critica.

Conte ha detto che le scuole non sono luogo di contagio, però intorno alla scuola ci sono molti elementi a rischio, ad esempio i mezzi di trasporto.

Nelle scuole si è operata una chiusura con Dad nelle superiori e nelle università dove gli studenti possono sostenere meglio il fatto di rimanere a casa. Si è cercato di lavorare con intelligenza, consci che non esiste una soluzione che è soluzione, lasciando aperte le elementari, la prima media e i corsi universitari per le matricole. Ma certo il rischio contagi permane, bisogna cercare di mantenere questa convivenza con il virus. In questa fase la situazione permette ancora di mantenere una frangia della scuola aperta, bisogna vedere come si procede.

Ci sono dati sui rischi di contagio nel mondo che circonda le scuole?

Sulla rivista scientifica Lancet è uscito recentemente un lavoro su 131 paesi che ha analizzato il peso delle chiusure rispetto al rischio contagio. I trasporti pesano sul 7% come rischio contagio, le scuole attorno al 15-16%. E’ chiaro che il mondo della scuola è legato ai trasporti, ecco perché si fa lo smart working.

C’è anche un aspetto psicologico però nel tenere le scuole aperte, considerando l’impatto che ha soprattutto sui bambini più piccoli. È così?

Certamente, teniamo conto che la chiusura delle scuole non è una cosa normale, avrebbe dovuto essere evitata, ma di fronte a cifre come 40mila contagi giornalieri e avendo raggiunto il 52% dell’occupazione dei posti letto ospedalieri per malati Covid si impongono decisioni che non si sarebbe voluto prendere.

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