Insieme al fratello Michal Konrad rapì Chloe Ayling, modella britannica sequestrata a Milano tra l’11 e il 17 luglio 2017. Ma per lui, Pavel Lukasz Herba, i giudici hanno previsto uno sconto di pena di 5 anni. Il motivo? Va rinvenuto nell’amore (o se preferite nell’infatuazione) sbocciato nei giorni del rapimento nei confronti della giovane donna, all’epoca dei fatti 20enne, che lo spinse a liberarla e a condurla in un luogo sicuro, il Consolato britannico a Milano. Questa la decisione dei giudici in Appello, che hanno riconosciuto al fratello minore l’attenuante, riducendo la pena comminata in primo grado da 16 anni e 9 mesi a 12 anni e un mese. Non è andata così bene al più grande dei due fratelli polacchi, il 37enne Michal Konrad, che in un altro procedimento, sfasato per la sua opposizione alla estradizione dalla Gran Bretagna, è stato invece condannato in Assise a 16 anni e 8 mesi.
CHLOE AYLING, MODELLA RAPITA A MILANO
Si evince da queste pesanti condanne che i giudici non hanno dato peso alle insinuazioni dei tabloid inglesi rispetto al rapimento di Chloe Ayling. Non erano stati in pochi, infatti, a suggerire che quella della modella fosse stata una trovata pubblicitaria. Tesi corroborata anche dalla propensione della ragazza di provincia a prestarsi volentieri, dopo la liberazione, ad interviste e a servizi fotografici. Come riportato dal Corriere della Sera, però, “proprio i giudici della condanna in appello di Pavel Herba rimarcano nella motivazione (relatrice Anelli, presidente Caputo) tutti i riscontri alle indagini della Squadra Mobile e del pm Paolo Storari (con l’allora procuratore aggiunto Ilda Boccassini) che svuotano la tesi difensiva di un sequestro «anomalo», cioè «simulato», o «concordato» o comunque «accettato»”. Si va dalle manette ai polsi alla pericolosa somministrazione di ketamina (potenzialmente letale se la ragazza fosse stata allergica) per stordire la ragazza, fino all’acquisto sul web dei passamontagna e dell’enorme borsa da viaggio per trasportare la Ayling. Eppure, a Lukasz Herba è stato riconosciuto quel sentimento d’amore che aveva parzialmente ammesso anche in aula. Nelle motivazioni, infatti, si motiva la concessione dell’attenuante per “essersi spontaneamente ed efficacemente adoperato per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato” quando, “una settimana dopo la privazione della libertà, la restituiva volontariamente alla persona offesa e, con decisione apprezzabile, non la abbandonava senza risorse in una zona isolata del Piemonte in mezzo a sconosciuti che parlavano una lingua per lei incomprensibile, ma la accompagnava al sicuro in un Consolato del suo Paese”.