La pandemia e i continui sprechi di cibo stanno affamando ancora di più il nostro pianeta: contrariamente a quanto qualcuno aveva affermato, la diffusione del Covid-19 nel mondo ha, se possibile, reso ulteriormente più difficile l’accesso al cibo per centinaia di milioni di persone che vivono nelle aree più povere specialmente in Asia e Africa e il fatto che proprio quest’anno il Premio Nobel per la Pace 2020 sia stato assegnato al “World Food Programme”, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare in decine di Paesi del globo, dimostra quanto la questione sia ancora di più stringente attualità. Il combinato disposto tra le perdite o gli sprechi di cibo (eliminando i quali si potrebbe coprire oltre la metà del fabbisogno previsto entro il 2050) e l’emergenza sanitaria che non ha risparmiato nessun continente è allarmante se unito al fatto che dal 2015 il numero di persone che soffrono la fame è tornato a crescere e al momento è stimato in oltre 820 milioni. Numeri impressionanti che certificano il fallimento di un sistema, tematica peraltro toccata proprio dalla Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2020 del 16 ottobre.



CALA L’ACCESSO AL CIBO: EFFETTO DI SPRECHI E COVID-19

Come accennato, quello che era un trend positivo negli ultimi anni dal 2015 si è invertito e la pandemia che ha colpito il mondo nel 2020 non ha fatto altro che rendere ancora più stridenti certi contrasti: per 820 milioni di persone che soffrono la fame, ce ne sono nel mondo oltre 2 miliardi che invece sono in condizione di obesità o quantomeno sovrappeso. Un tale sistema non potrà reggere ancora per molto e a tal proposito non va dimenticato l’impatto che ha sugli ecosistemi naturali già pesantemente provati da inquinamento e conseguenze dei cambiamenti climatici, specialmente se si pensa alla distruzione delle biodiversità e sugli effetti che hanno certe produzioni in termini di gas serra e di sfruttamento eccessivo delle risorse dei suoli. Per risolvere il problema della denutrizione di intere fasce di popolazione nei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo ma non solo non bastano le pur lodevoli iniziative umanitarie e i programmi mirati portati avanti ad esempio dal WFP: l’obbiettivo primario è quello di ridurre gli sprechi di cibo e le sue perdite, ottimizzarne le fasi di produzione ed evitare l’odioso momento di quello che è definito “scarto intenzionale”, attuato non solo a livello industriale ma dagli stessi consumatori.



AUMENTO DISUGUAGLIANZE: E CAMBIERANNO PURE I CONSUMI ALIMENTARI IN OCCIDENTE

Lo spreco intenzionale di cibo inoltre diventa ancora più inspiegabile nel pieno della pandemia da Covid-19 e se, almeno in parte, l’emergenza ha portato nel mondo occidentale un minimo di consapevolezza nelle famiglie nel rapporto col cibo e con la spesa (senza dimenticare la parsimonia nel loro uso durante il lockdown e l’esperienza tutta nuova di trovarsi di fronte a scaffali vuoti o alla necessità di imparare a conservare e non buttare i prodotti) ma il problema persiste a livello mondiale. Come accennato, il Coronavirus da una parte ha acuito ancora di più l’emergenza ma, allo stesso tempo, ha allontanato per qualche mese i riflettori da questa piaga. Eppure la comunità scientifica da tempo ha sollevato delle questioni in merito alla disponibilità di cibo e al modo in cui i consumi cambieranno a seguito di questo evento storico: inoltre la rivista “Science” ha pubblicato uno studio secondo cui il Covid-19 minaccia l’accesso omogeneo al cibo e questo riguarderà in misura diversa anche l’Occidente dato che la pandemia intaccherà il reddito che destiniamo alla spesa, costringendo le fasce più fragili della popolazione a scegliere tra quantità e qualità. Non solo: l’incipiente recessione imporrà a tante famiglie di ridurre il proprio volume di spesa alimentare, cambiando gradualmente anche le proprie abitudini a tavola. E se ciò è vero per le potenze mondiali, allora per i Paesi più poveri gli effetti saranno ancora più drammatici in tal senso.

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