Un ritorno in grande stile e soprattutto in presenza dopo un anno di stop imposto dalla pandemia. Dal 31 agosto al 3 settembre a Parma si rialza il sipario su Cibus, da quasi 40 anni la piattaforma di riferimento per l’agroalimentare italiano. L’appuntamento targato 2021 ha richiamato quasi 2.000 aziende espositrici, che proporranno migliaia di marchi e oltre 500 nuovi prodotti. Ma non solo: nel polo fieristico della città emiliana si attendono 3.000 operatori selezionati, di cui il 50% esteri. Obiettivo dichiarato: rappresentare una vetrina d’eccellenza per il Made in Italy.



“La riapertura di Cibus in presenza – ha detto Luigi Di Maio, ministro degli Esteri e della Cooperazione intervenuto in diretta streaming all’apertura dei lavori – rappresenta un segnale a livello internazionale dall’Italia, in un settore in cui il Paese vanta una leadership mondiale. Con Ice Agenzia abbiamo stanziato più di un milione di euro per l’edizione 2021, così da favorire missioni incoming di operatori e giornalisti dall’estero. Tutto ciò nel contesto di un investimento di 57 milioni di euro nel Piano Straordinario per la Promozione del Made in Italy”.



Quello che si tiene in questi giorni nella città emiliana si presenta, insomma, come un appuntamento nevralgico per l’intero settore agroalimentare. “Da troppo tempo i responsabili acquisti della distribuzione nazionale e internazionale non incontravano i loro fornitori, non si recavano presso le facilities e i territori – ha spiegato Antonio Cellie, ceo di Fiere di Parma -. A Parma si torna dunque a fare fiere in Italia, per dimostrare ai mercati come si possa continuare a innovare, contribuire all’ambiente, conquistare nuovi mercati esteri e battere la contraffazione”.

Carte in regola per ripartire

La manifestazione parmense intende dunque rappresentare un punto fermo per il settore. “Questa edizione di Cibus – ha detto Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare – dimostra come il comparto del food&beverage abbia tutte le carte in regola per trainare la ripartenza. Ma soprattutto rappresenta un nuovo avvio per tutte le aziende dell’industria alimentare che hanno resistito durante la fase pandemica e che ora possono tornare a proporre i prodotti Made in Italy al mondo, certe di trovare dall’altra parte sempre più consumatori in sempre più Paesi”.



Una certezza corroborata dai numeri: il nostro export è stato infatti capace di mettere a segno nel primo semestre del 2021 un balzo dell’11%. “L’industria alimentare – ha precisato Vacondio – raggiungerà a fine anno i 40 miliardi di euro, cui andranno sommati 10 miliardi di euro dell’agricoltura”. Un ottimo risultato anche alla luce dell’importanza assunta dalle esportazioni in un contesto in cui i consumi interni presentano da anni un trend piatto. Un contesto in cui, nota Vacondio, “dobbiamo puntare su mercati in forte crescita come quelli del Vietnam, della Malaysia, della Corea e altri”.

Sostenibilità: un dossier aperto

Il palcoscenico offerto da Cibus mette insomma in evidenza come il punto di (ri)partenza per il settore agroalimentare possa contare su solide basi. I possibili ulteriori sviluppi dipenderanno però dalla capacità di affrontare i fronti aperti. E tra questi, da segnalare vi è innanzitutto la necessità di rispondere alle sfide imposte dalla transizione green. “Sicurezza alimentare, filiere industriali capaci di tutelare la biodiversità e valorizzazione del rapporto con i territori sono i pilastri su cui si fonda il futuro del settore agroalimentare in Italia – ha detto Fabio Pompei, amministratore delegato di Deloitte Italia durante l’assemblea pubblica di Federalimentare, ospitata dalla exhibition emiliana -. La pandemia ha portato in cima alle priorità delle persone la salute e il ruolo dell’alimentazione è quindi divenuto ancora più importante”.

Non una semplice teoria se si considera che, stando all’osservatorio globale e periodico sui consumi Deloitte Global State of the Consumer Tracker, la pensa così il 58% degli italiani. E c’è di più. “A fianco dell’attenzione al benessere – ha aggiunto Pompei -, si è affermata una maggiore consapevolezza verso la sostenibilità. Senza contare che il 45% dei consumatori è interessato ai prodotti locali anche a fronte di una spesa più elevata”.

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