Allarme variante sudafricana in Europa. La preoccupazione è legata al fatto che «in due settimane ha raggiunto circa il 75% dei casi, ha 32 mutazioni e le sta prendendo da tutte le altre varianti che conosciamo». A spiegare le caratteristiche della variante Nu è il professor Massimo Ciccozzi, docente all’Università Campus BioMedico di Roma, intervenuto oggi a UnoMattina. C’è almeno una buona notizia: «Una parte della proteina non ha un pezzettino, questo la rende facilmente riconoscibile». Sono in corso comunque molteplici studi, infatti Ciccozzi ha svelato di essersi messo in contatto col virologo Tulio de Oliveira in Sud Africa.



«Ho scritto al mio amico, il quale mi ha spiegato che lì meno del 50% della popolazione è vaccinata, inoltre non usano molto le mascherine, quindi c’è rilassamento. Da buon evoluzionista qual è non esclude che possa essere nata altrove». Gli studi sono importanti in questa fase per «valutare contagiosità ed efficacia dei vaccini, quindi non possiamo dire nulla ancora, ma rispetto alla variante Delta è differente, quindi neppure i guariti potrebbero essere protetti».



“DOBBIAMO ARRIVARE ALL’ADATTAMENTO EVOLUTIVO”

Attenzione e monitoraggio: questo è quel che serve ora per evitare la diffusione della variante sudafricana. «Come dice l’Oms, è una variante di preoccupazione. Vediamo quello che succede. Tulio de Oliveira mi ha detto che se ci fossero più vaccinazioni e fondi per l’Africa non ci ritroveremmo in questa situazione, ma lo sapevano che poteva accadere proprio per questi motivi», ha spiegato il professor Massimo Ciccozzi a UnoMattina. Questa situazione conferma la necessità di fermare la circolazione del virus: «Se continua a circolare, potrebbero non fermarsi le varianti. Le mutazioni avvengono quando il virus circola e si replica. Il problema è capire l’efficacia della vaccinazione non tanto per il contagio, ma riguardo la protezione. Dobbiamo arrivare all’adattamento evolutivo».



Infine, Massimo Ciccozzi ha parlato del monitoraggio italiano: «C’è una rete italiana che consente alle regioni di depositare le sequenze che consentono all’Istituto superiore di sanità di valutarle. Non siamo al livello degli inglesi, ma siamo migliorati. In Sud Africa l’hanno scoperta perché hanno un sistema di sorveglianza enorme. Dobbiamo quindi investire nella ricerca».