Nei mesi scorsi l’Europa si è dotata del Sure, un nuovo strumento comunitario di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione nel periodo emergenziale, sia dal punto sanitario che economico, che stiamo vivendo. Il fondo, nello specifico, è infatti pensato per aiutare a proteggere i posti di lavoro e i lavoratori che risentono sulla loro pelle della pandemia di coronavirus.

Questo fornirà, nei prossimi mesi (anni?), assistenza finanziaria per un totale di ben 100 miliardi di euro sotto forma di prestiti, concessi dall’Unione europea ai diversi Stati membri a condizioni particolarmente favorevoli. Questi prestiti aiuteranno, quindi, i Governi europei ad affrontare aumenti repentini della spesa pubblica per il mantenimento, potremmo dire “per legge”, dell’occupazione.

Nello specifico queste risorse concorreranno a coprire i costi direttamente connessi all’istituzione o all’estensione di regimi nazionali di riduzione dell’orario lavorativo (in Italia le diverse casse integrazioni speciali e in deroga) e di altre misure analoghe per i lavoratori autonomi introdotte, a maggiore tutela anche di queste persone, in risposta all’attuale pandemia di coronavirus. Lo strumento rappresenta, peraltro, un elemento di una strategia più complessiva, e globale, della Commissione europea per tutelare i cittadini e mitigare le gravi conseguenze socioeconomiche della pandemia e rappresenta, certamente, un tentativo interessante di costruire, passo dopo passo, anche un’Europa sociale in grado di fornire risposte comuni alle sfide, per la tenuta delle nostre comunità, nei prossimi, difficili, anni.

A oggi, ha sottolineato la Commissione europea nei giorni scorsi, sono già stati erogati in totale 17 miliardi di euro a Italia, Spagna e Polonia in una prima tranche di sostegno finanziario agli Stati. Nel dettaglio l’Italia ha già ricevuto 10 miliardi di euro, la Spagna 6 e la Polonia 1. Alla fine del percorso, una volta completate tutte le erogazioni a valere sul fondo Sure, l’Italia riceverà, quindi, ben 27,4 miliardi di euro, la Spagna 21,3 e la Polonia 11,2.

Le risorse, insomma, per “congelare” il lavoro evitando lo sblocco dei licenziamenti nel nostro Paese anche per i prossimi mesi fortunatamente ci saranno. Sembrano mancare non tanto i fondi (si pensi al Recovery fund), ma le idee per immaginare il futuro del Paese. Manca, infatti, un piano industriale del sistema Italia per capire dove, e come, questo intende muoversi nel futuro. Sembra, inoltre, da molte parti, mancare una certa dose di coraggio nel dire ai nostri concittadini che, quando tutto finirà, non torneremo, come se nulla fosse successo, al mondo di prima del Covid. Molti mestieri e professioni (in alcuni casi interi settori) si stanno, infatti, già ripensando e, probabilmente, andremo, finito l’effetto “congelamento”, ad affrontare pesanti processi di riconversione.

Perché non iniziare a pensarci già ora mettendo in campo risorse, e soprattutto idee, per lanciare un piano nazionale di riqualificazione e formazione (ricorrendo in maniera massiccia alle opportunità legate al digitale) che si proponesse di aiutare i lavoratori, specialmente i più fragili e a rischio esclusione, a prepararsi al mondo del lavoro (ma non solo) che verrà?