Sempre più studi e ricerche a livello europeo stanno mettendo in campo le prime, e ancora necessariamente provvisorie, analisi sulle trasformazioni delle politiche per il lavoro e su come la pandemia Covid-19 abbia cambiato (e lo stia ancora facendo) il nostro modo di lavorare. Emerge, ad esempio, come alcuni Paesi hanno accelerato mentre altri hanno rallentato i processi delle riforme in corso, o da far partire, anche se in misura ovviamente diversa a seconda dei contesti nazionali. 

L’aumento del telelavoro, in particolare, ha portato allo sviluppo di una serie di interventi finalizzati ad affrontare questa nuova modalità di lavoro per molte persone. La digitalizzazione delle imprese e l’uso di strumenti digitali da parte dei lavoratori è, infatti, diventata (necessariamente) una questione centrale del dibattito politico/sociale durante la pandemia. La crisi ha, inoltre, sconvolto l’agenda politica, modificando le priorità, anche per quanto attiene possibili nuove regolamentazioni del mercato del lavoro, le pensioni e le iniziative in materia di salario minimo. 

Il virus ha, infatti, colpito anche la qualità del dialogo e delle relazioni industriali e in questo momento, secondo diversi ricercatori, non è possibile prevedere l’impatto che queste dinamiche potrebbero avere anche nelle scelte che dovranno essere messe in campo nel periodo post-crisi.

In questo quadro complessivo si deve evidenziare come in alcuni Paesi i meccanismi di protezione esistenti come i programmi di integrazione al reddito (nel nostro caso la cassa integrazione) siano stati introdotti o potenziati ed estesi in reazione alla pandemia. Dopo la fine della pandemia è da immaginare, ad esempio, in Italia una riflessione complessiva su come immaginare questi strumenti nel mondo del lavoro di domani apportando tutte le modifiche e aggiornamenti necessari a un modello pensato per le crisi del secolo scorso.

Si sottolinea poi come, per quanto riguarda l’Italia, si sia sostanzialmente congelato il dibattito che si stava svolgendo sulla possibilità di introdurre anche da noi lo strumento del salario minimo garantito sulla scia di quanto già realizzatosi in altri Paesi europei. Queste, come altre questioni cruciali per il ripensamento del nostro sistema di welfare, sono state, certamente, accantonate. Dopo l’estate, sperando in un progressivo ritorno alla normalità, tuttavia, torneranno sulla scrivania del Premier che ha promesso, tra le altre cose, riforme strutturali per quanto attiene il nostro incancrenito mercato del lavoro.

Tutto questo sarà certamente più semplice se, con modalità nuove, si rilancerà con forza un nuovo patto tra tutte le parti sociali ed economiche del Paese per uscire dalla crisi più moderni, e allo stesso, più solidali con i tanti che usciranno, ahimè, con le ossa rotte da questa terribile crisi sempre più economica oltre che sanitaria.

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