L’ondata dei provvedimenti per i sostegni al reddito finalizzati a contenere i danni economici delle misure di lockdown ha coinvolto in modo inedito le varie categorie dei lavoratori autonomi e professionisti. Ed è ragionevolmente prevedibile che ulteriori risorse pubbliche debbano essere mobilitate per questo scopo per erogazioni una tantum mensili e per compensazioni sulle perdite di fatturato anche per i primi mesi del 2021.
Questi interventi emergenziali stanno convincendo una parte significativa delle forze parlamentari, sia della maggioranza che dell’opposizione, riguardo l’opportunità di prevedere una soluzione strutturale di intervento a favore dei lavoratori autonomi. In tal senso l’emendamento presentato, come prima firmataria, dalla On. Chiara Gribaudo del Partito democratico sulla Legge di bilancio propone di istituire una forma di integrazione per le perdite del reddito subite dai lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata presso l’Inps, per le riduzioni di fatturato superiori al 50% alla media dei tre anni precedenti, distribuito su un numero di rate mensili pari alla metà di quelle oggetto di contribuzione nell’anno precedente, e con un massimale di 6.516 euro di erogazione. La portata dell’emendamento riguarda, tutto sommato, una parte marginale dei lavoratori autonomi e professionisti: le partite Iva iscritte alla gestione separata che non rientrano nell’area delle Casse previdenziali degli ordini professionali, ovvero dei commercianti, artigiani e coltivatori diretti iscritti ai rispettivi fondi.
Una platea stimata in circa 300mila persone, composta da liberi professionisti, venditori a domicilio, praticanti e beneficiari di borse di studio o dottorati di ricerca, amministratori di società o condomini, lavoratori occasionali. Che si aggiunge nella gestione separata presso l’Inps a quella dei collaboratori coordinati continuativi (Co.Co.Co.) privi di partite Iva. Questi ultimi usufruiscono già di una specifica indennità di disoccupazione, la Dis-Coll, istituita con la riforma degli ammortizzatori sociali del 2015 che prevede un’indennità di disoccupazione fino a 6 mesi, per importi mensili fino al 75% della remunerazione precedente, con un limite mensile di 1.328 euro.
Nonostante la portata limitata delle persone coinvolte, è del tutto evidente come l’intenzione dei proponenti, che hanno trovato un importante e significativo sostegno nel viceministro dell’Economia Antonio Misiani, sia quella di allargare l’orizzonte dell’intervento degli ammortizzatori sociali a tutta l’area dei lavoratori autonomi e professionisti, finanziata da apposite contribuzioni obbligatorie alle casse e ai fondi precedentemente richiamati, per accedere alle prestazioni di sostegno al reddito. Un obiettivo già previsto nella stesura del disegno di legge, istruito dalle commissioni Lavoro della Camera e del Senato, per l’istituzione di uno Statuto dei lavoratori autonomi.
Un’iniziativa all’apparenza meritoria, ma che dovrebbe essere valutata non in ragione dell’emergenza economica provocata da fattori indipendenti dalle iniziative dei singoli lavoratori, e che rende ragionevole la formula del ristoro di una parte delle perdite in conseguenza di atti amministrativi disposti dalle autorità pubbliche. Ovvero per far fronte a eventi imprevedibili, cosa già ampiamente prevista nelle forme assicurative in essere con il patrocinio delle associazioni di rappresentanza di questi lavoratori. Altra cosa è quella di utilizzare un simile meccanismo per compensare i totali o parziali fallimenti delle scelte di mercato operate dai singoli imprenditori. Cosa assai diversa dalla perdita involontaria del lavoro che costituisce la condizione per accedere alle indennità di disoccupazione per i lavoratori dipendenti.
Per la verità interventi di questo tipo, rivolti a offrire un risarcimento compensativo per gli operatori del settore del commercio costretti, o disponibili a chiudere gli esercizi, sono stati già intrapresi nel passato tramite lo specifico fondo previdenziale presso l’Inps, con il supporto di risorse pubbliche. E non è affatto escluso che il tema si riproponga in molti comparti dei servizi particolarmente esposti alle conseguenze del post-Covid, nell’immediato futuro per far fronte alle chiusure degli esercizi per la riduzione della domanda nei comparti del commercio, del turismo, e delle attività ludiche collettive.
In questo senso, anche per prevenire gli eventuali abusi, sarebbe consigliabile che, sulla base di forme assicurative e di contributi versati dagli iscritti, siano gli stessi fondi a stabilire le prestazioni, i criteri di selezione e gli importi da erogare, limitando i sostegni pubblici per le finalità di tipo sociale (condizioni fisiche che impediscono l’attività, le indennità di maternità, l’impedimento a esercitare le attività in conseguenza di eventi ambientali, decisioni delle pubbliche autorità…).
È vero che le evoluzioni delle organizzazioni del lavoro tendono, in molti ambiti, a far convergere le forme di lavoro subordinato con quelle dei lavoratori autonomi. Si pensi alle prospettive di ampliamento dello smart working se venisse prevista la possibilità per i lavoratori di operare con più datori di lavoro, come già avviene per diversi lavoratori autonomi e professionisti nel rapporto con i committenti. Oppure, sul fronte del lavoratore autonomo, che avvenga un’ulteriore espansione del franchising nell’ambito delle reti di fornitura on line, condizionate da una forte dipendenza dei gestori dei punti vendita alle scelte delle società proprietarie dei marchi. In questo senso, a mio modesto avviso, è stato un grave errore eliminare dalla normativa sui rapporti di lavoro la forma dei contratti di progetto che poteva rappresentare il punto di convergenza e di tutele tra il lavoro dipendente e quello autonomo.
Nonostante queste riserve, che sono rivolte soprattutto ai tentativi di estendere al lavoro autonomo i modelli di tutela dei lavoratori dipendenti delle aziende dotate di solide organizzazioni, la ricerca di nuove soluzioni normative e di forme di tutela che riescano a contemperare una ragionevole riduzione dei rischi lavorativi senza deprimere l’intraprendenza delle persone, soprattutto se accompagnate da politiche attive di buona qualità, possono offrire un contributo importante per la modernizzazione del diritto del lavoro e delle forme di tutela dei lavoratori. A condizione che venga evitata la perenne tentazione di riprodurre in modelli i lasciti corporativi e assistenziali che caratterizzano ancora buona parte dei sostegni al reddito vigenti.