Osservando i dati del terzo trimestre dell’anno ci eravamo lusingati di aver compiuto un recupero di un certo rilievo dopo la caduta dei primi due trimestri. Gli indicatori della produzione manifatturiera facevano ben sperare in un’inaspettata capacità di reazione del sistema produttivo. Non avevamo fatto i conti con il virus e la ripresa della sua aggressione. Sapevamo che sulla ripresa gravava un grande punto interrogativo che chiamava in causa l’andamento delle curve atte a misurare gli effetti del contagio. Ignazio Visco lo aveva detto nelle sue Considerazioni conclusive, svolte mentre scemava la prima tempesta e il Paese tornava a rialzare la testa: “La pandemia e la recessione aprono scenari di estrema incertezza che rendono molto difficile tratteggiare i contorni dei nuovi equilibri che si andranno a definire”. Stiamo giocando a poker con il morto; nessuno conosce le sue carte. Il Centro Studi della Confindustria cura un’analisi puntuale della situazione economica e su quelle basi prefigura i trend sino a tutto l’anno in corso. In sintesi di seguito:

Seconda recessione. Le recenti misure restrittive per arginare l’epidemia inducono a stimare che nel 4° trimestre si avrà di nuovo un Pil in calo. L’impatto sull’economia italiana dovrebbe essere contenuto rispetto al crollo nel 1° e 2° (-17,8%), dato che molti settori produttivi restano aperti. Ciò avviene subito dopo il forte rimbalzo nel 3° (+16,1%), che aveva riportato l’attività al -4,5% dai livelli pre-Covid.

Peggiorano i servizi. Il PMI nei servizi (Purchasing Managers’ Index) segnala un ulteriore arretramento già in ottobre (46,7 da 48,8), con domanda indebolita. Dopo il recupero parziale del settore turistico fino ad agosto, a fine anno in vari segmenti le perdite saranno ancora vicine al 70% (stime Federturismo).

Industria: risalita stoppata. Nell’industria, viceversa, il PMI in ottobre (53,8) ha fornito ancora segnali positivi. Tuttavia, la produzione già a settembre-ottobre ha visto interrompersi il suo rapido recupero, sui livelli pre-Covid: ciò potrebbe preludere a una nuova, moderata, caduta nel 4° trimestre.

Domanda interna fragile. Gli indicatori segnalano fino a ottobre una tenuta, dopo il rimbalzo nei mesi estivi. Gli ordini interni dei produttori di beni di consumo sono risaliti a -28,3 (-34,4 nel 3° trimestre), quelli dei produttori di beni strumentali a -31,4 (da -42,8). La fiducia delle famiglie però diminuisce, con forte calo delle attese sull’economia: ciò alimenta la propensione al risparmio. L’ICC segnala in ottobre un -8,1% annuo dei consumi: i dati peggiori sono per turismo, servizi per il tempo libero, trasporti.

Più debito per la liquidità. A settembre la dinamica del credito alle imprese ha accelerato ulteriormente (+6,8% annuo, da -1,0% a gennaio), per sopperire alla carenza di liquidità. I prestiti con garanzie pubbliche hanno superato i 110 miliardi a novembre (dati Task Force). Ciò peserà sul debito bancario (da 16,5% a 18,9% del passivo, stime CSC) e sugli oneri finanziari, riducendo le risorse per investimenti.

Export in risalita. L’export di beni è rimbalzato del 30,3% nel 3° trimestre (-3,2% dai valori di febbraio). Il recupero ha riguardato tutti i principali tipi di beni e, con ritmi diversi, i maggiori mercati. Le indicazioni a inizio 4° trimestre erano positive: in risalita gli ordini manifatturieri esteri. Tuttavia, le probabilità di una nuova caduta a fine anno sono alte, a causa della pandemia, specie nelle voci legate al turismo.

In tale contesto, sostiene il CSC, l’occupazione si è di nuovo appiattita a settembre, dopo la risalita temporanea a luglio-agosto. La disoccupazione sembra puntare di nuovo verso il basso, come a marzo-aprile, per la contrazione della forza lavoro. Il 4° trimestre anche per l’occupazione si preannuncia in negativo. Mettiamo a confronto le previsioni con i dati reali forniti dall’Inps, nel consueto monitoraggio periodico. A partire dalle ore di cassa integrazione autorizzate a titolo di Covid, dapprima con riferimento all’intero periodo dell’emergenza, poi nel mese di ottobre.

Il numero totale di ore di cassa integrazione guadagni autorizzate nel periodo dal 1° aprile al 31 ottobre 2020, per emergenza sanitaria, è pari a 3.388,1 milioni di cui: 1.628,2 milioni di CIG ordinaria, 1105,4 milioni per l’assegno ordinario dei fondi di solidarietà e 654,4 milioni di CIG in deroga. L’insorgere dell’epidemia in Italia alla fine di febbraio e i provvedimenti normativi emanati con riferimento alla sospensione e alla riduzione delle attività economiche a partire da marzo, determinano delle misure elevatissime degli indici congiunturali del mese di aprile rispetto a quello di marzo, mese in cui l’Inps non aveva ancora effettuato lavorazioni relative all’emergenza: aprile rappresenta infatti il primo mese nel quale di fatto si sono cominciate a svolgere le lavorazioni dell’istituto per l’autorizzazione delle misure di sostegno all’occupazione predisposte per l’emergenza sanitaria in atto. Nel mese di ottobre 2020 sono state autorizzate 330,0 milioni di ore, con una variazione congiunturale del +38,1%  rispetto alle ore autorizzate a settembre 2020. 

Per quanto riguarda la cassa integrazione ordinaria, i settori che assorbono il maggior numero di  ore autorizzate sono nell’ordine: “fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici ed elettrici” con 31,2 milioni di ore,  “metallurgico” con 27,4 milioni di ore, “industrie tessili e abbigliamento” con 16,5 milioni di ore; seguono i settori “costruzioni” con 11,7 milioni di ore e “fabbricazione di autoveicoli, rimorchi, semirimorchi e mezzi di trasporto” con 9,8 milioni di ore. Questi  cinque settori in termini di ore autorizzate assorbono il 63% delle autorizzazioni del mese di ottobre. 

Per la cassa integrazione in deroga il settore che ha avuto il maggior numero di ore autorizzate è il “commercio” con 25,3 milioni di ore, seguono “alberghi e ristoranti” con 13,3 milioni di ore, “attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese” con 8,4 milioni di ore. Questi tre settori assorbono il 78% delle ore autorizzate a ottobre per le integrazioni salariali in deroga. Nel mese di ottobre 2020 i settori che hanno avuto più ore autorizzate nei fondi di solidarietà sono: “alberghi e ristoranti” con 37,8 milioni di ore, “attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese” con 30,7 milioni di ore, “commercio” con 14,9 milioni di ore, e “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” con 12,9 milioni di ore.

Per quanto riguarda le regioni, è la Lombardia che ha avuto, nel mese di ottobre 2020, il maggior numero di ore autorizzate di CIG ordinaria con 44,3 milioni di ore, seguita da Piemonte ed Emilia Romagna rispettivamente con 20,8 e 16,1 milioni di ore. Per quanto concerne la CIG in deroga le regioni che hanno autorizzato il maggior numero di ore sono state: la Lombardia con 15,1 milioni di ore, il Lazio con 10,1 milioni di ore e la Campania con 5,6 milioni di ore. Per i fondi di solidarietà, le autorizzazioni si concentrano in Lombardia (35,1 milioni di ore), Lazio (19,5 milioni), Emilia Romagna (11,4 milioni), Veneto (9,7 milioni). Queste quattro regioni assorbono il 70% delle ore autorizzate a settembre nei fondi di solidarietà.

Per quanto riguarda l’occupazione è opportuno ricordare una Nota della Banca d’Italia (a cura di Eliana Viviano) sugli effetti prodotti, nell’ambito del mercato del lavoro, dalle misure di “ristoro” e di tutela predisposte nei decreti adottati a tambur battente dal Governo. In Italia, a fronte di uno stock di lavoratori dipendenti di circa 15 milioni, i licenziamenti complessivi (sia collettivi sia individuali) nel settore privato (escluse le attività delle famiglie come datori di lavoro) non hanno mai superato le 600 mila unità all’anno, neppure all’apice della crisi del debito sovrano; vi si aggiungono in media circa 100 mila ulteriori licenziamenti negli altri settori (quasi esclusivamente il lavoro domestico). A ciò corrispondono ogni anno tra le 950 mila e gli 1,4 milioni di assunzioni a tempo indeterminato e trasformazioni. La risposta ciclica dei licenziamenti appare nel complesso modesta e dipende dal dualismo del mercato del lavoro, che comporta un aggiustamento più marcato dei contratti di lavoro temporaneo.

Data la relativa stabilità del numero di licenziamenti a fronte di limitate fluttuazioni cicliche è ragionevole ipotizzare che in assenza della crisi da Covid-19 vi sarebbero stati nel 2020 all’incirca 500 mila licenziamenti, come nel 2019 (a fronte di circa 1,2 milioni di assunzioni e trasformazioni attese). Si stima che tra gennaio e metà marzo 2020 (cioè prima del blocco) i licenziamenti per motivi economici nel settore privato siano stati all’incirca 100 mila: in prima battuta si può ritenere che la norma sul blocco dei licenziamenti stia impedendo almeno 400 mila licenziamenti che si sarebbero verificati in condizioni normali. Tenuto conto che lo shock ha colpito in modo più intenso comparti nei quali la quota di lavoratori a tempo indeterminato è relativamente contenuta, si può stimare che, in assenza delle misure introdotte, nel 2020 lo shock pandemico avrebbe potuto causare ulteriori 200 mila licenziamenti, portando quindi il totale a circa 700 mila unità.

Si può valutare – alla fin dei conti – che le misure di estensione della CIG, il sostegno alla liquidità delle imprese e il blocco dei licenziamenti abbiano impedito – sostiene Viviano – circa 600 mila licenziamenti nell’anno in corso; di questi, circa un terzo si sarebbe probabilmente verificato, anche in assenza del blocco, grazie alle altre misure. Nelle attuali condizioni congiunturali è difficile ipotizzare che i lavoratori licenziati avrebbero trovato un altro lavoro: il calo occupazionale nell’anno in corso sarebbe stato pertanto significativamente più ampio rispetto a quello finora registrato.

Nel valutare l’impatto complessivo del blocco dei licenziamenti sull’occupazione va però considerato – secondo la Nota – anche quello sulla dinamica delle assunzioni, che può risentire di una forte riduzione del turnover: questa, oltre ad avere effetti sui lavoratori a tempo indeterminato, può limitare le possibilità di impiego di coloro che devono ritornare nel mercato del lavoro (in primis i lavoratori temporanei il cui contratto di lavoro è scaduto) e di coloro che vi si affacciano per la prima volta. Infine, la Nota non può che prendere atto dell’ingorgo in cui le misure adottate (CIG a gogò e blocco dei recessi) hanno infilato il mercato del lavoro. Sebbene non si abbiano ancora indicazioni per valutare la dinamica presumibile dei licenziamenti nel 2021 e le novità recentemente introdotte dal decreto “ristori” e annunciate dal Governo, le stime suggeriscono – conclude la Nota – che un’interruzione simultanea sia della CIG-Covid, sia del blocco dei licenziamenti dovrebbe essere valutata con estrema cautela al fine di evitare possibili brusche cadute.

In sostanza, il mercato del lavoro è stato “incaprettato”; è costretto a non muoversi per evitare di strangolarsi.