Alla fine il regime cinese ha dovuto arrendersi e ha cominciato ad allentare le pesantissime misure di sicurezza, la tristemente famosa strategia zero Covid, che aveva “imprigionato” nelle loro abitazioni milioni di persone. Pechino ha dovuto ammettere l’impossibilità di tracciare il numero dei nuovi infetti, ma soprattutto si è in qualche modo piegata alle proteste popolari. Per quasi tre anni il governo cinese ha utilizzato lockdown ferrei, quarantene centralizzate, test di massa e rigorosa tracciabilità dei contatti per frenare la diffusione del virus.
“Non si tratta tanto di una vittoria popolare, perché il regime pensava già da tempo di allentare le misure di controllo, quanto di una decisione per rilanciare una economia in forte crisi” ci ha detto in questa intervista Serena Console, giornalista collaboratrice di varie testate quali Today e il Manifesto. Il problema è che la riapertura sta già portando a una diffusione massiccia del Covid per via di un sistema sanitario che in questi anni di pandemia non si è mai aggiornato: mancano le terapie intensive e soprattutto il vaccino non è mai stato aggiornato alle ultime varianti. Secondo un nuovo studio del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie, pubblicato dalla Cnn, si calcola quasi un milione di morti.
È corretto definire la decisione di allentare la strategia zero Covid una vittoria popolare e uno smacco per il regime?
È una interpretazione un po’ falsata. Le proteste popolari in Cina sono frequenti, anche se non così generalizzate come abbiamo visto nelle ultime settimane. Di solito sono episodi locali che vanno dalla corruzione di funzionari alle condizioni dei lavoratori, però il governo già prima delle proteste pensava di allentare le restrizioni.
Come mai?
Per via della condizione economica del Paese, che non è certo delle migliori. C’è una disoccupazione giovanile al 19%, i giovani sono rassegnati e arrabbiati allo stesso tempo, perché non vedono più le prospettive di crescita che avevano avuto i loro genitori.
Si può dire che l’ascensore sociale si è fermato?
Sì. Va detto poi che questa decisione è arrivata dopo il congresso del partito che ha rieletto per il terzo mandato Xi Jinping. Se fosse arrivata prima, si sarebbe verificato un congresso più animato e con più scontri. C’è sicuramente una vittoria dei manifestanti, però, non bisogna dare a loro tutto il merito. Le manifestazioni sono state la punta estrema di uno sconforto economico e sociale.
Quindi non si può dire che il regime sia stato intaccato?
Qualche segno di opposizione interna ci potrà essere fino a marzo, quando ci saranno due riunioni parlamentari dove si rivedranno i nuovi funzionari di governo. Però il regime è sempre in piedi e adesso deve gestire una profonda crisi economica.
C’è invece, dopo le riaperture, forte preoccupazione per un sistema sanitario che non è in grado di reggere l’impatto di ben tre ondate di Covid già previste. È così?
C’è sicuramente un problema legato alle vaccinazioni. Il 90% della popolazione è vaccinato, ma quel 10% che non lo è, e si tratta soprattutto di anziani, sono molto diffidenti nei confronti del vaccino. Hanno creduto nello zero Covid e nelle indicazioni del governo. I vaccini utilizzati sono poi quelli prodotti in Cina, che non si basano su tecnologia mRNA e che non sono stati sviluppati sui ceppi successivi a quello di Wuhan. Per capirci, non hanno una copertura vaccinale come quella che abbiamo avuto noi con i vaccini aggiornati alle variazioni del virus. Va anche detto che i cinesi seguono una politica vaccinale in cui si privilegia chi lavora, lasciando per ultime le persone più anziane e questo sta dimostrando che in questi anni non sono stati fatti investimenti adeguati a favore del sistema sanitario, ad esempio per le terapie intensive. Quindi si trovano indietro rispetto a noi.
Secondo alcuni studi, si parla della possibile morte di un milione di persone: non è che adesso per questo fatto e per il sistema sanitario inadeguato si scateneranno altre proteste?
Ci sono effettivamente già proteste tra gli studenti di medicina, perché sono stati immessi nell’organico sanitario ma vengono pagati poco, non hanno le protezioni adeguate e si ritrovano con un carico di lavoro eccessivo. Le stime parlano di un milione di morti, bisogna anche tenere conto che fra poco sarà il capodanno lunare, il momento di migrazione interna più grande al mondo e che in un contesto simile potrebbe portare all’insorgere di nuove varianti.
Si ripeterà quanto successo all’inizio? Saremo investiti anche noi da questa nuova epidemia?
Speriamo di no, però è un quadro problematico. Il conteggio dei morti sembra non corrispondere al numero reale dei deceduti. Il ministero della Salute ha deciso di conteggiare solo le persone che hanno avuto un problema legato a insufficienza respiratoria e non più a malattie pregresse come si faceva prima. E c’è anche il problema dei forni crematori, che stanno registrando una ondata di richieste imprevista. A Pechino si è passati da una richiesta per 30-40 cadaveri a circa 200 al giorno.
(Paolo Vites)
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