La frenesia della politica estera cinese non conosce tregua e si muove ormai a livello globale, anche in contesti geografici poco conosciuti. È il caso, per esempio, dello Zanzibar, regione semiautonoma della Tanzania, e naturalmente di quello snodo strategico a livello geoeconomico che è Gibuti.
Ma cominciamo con Zanzibar. Solo un anno fa, alla fine di gennaio 2021, il presidente di Zanzibar, Hussein Ali Mwinyi, aveva dichiarato che avrebbe potuto porre in essere la costruzione dei porti di Mpiga Duri, a nord della città di Zanzibar, e Mangapwani, a una ventina di chilometri di distanza. Da allora, il suo ministro dei Trasporti, Rahma Kassim Ali, e il suo primo segretario, Amour Hamil Bakari, hanno definitivamente messo il progetto di Mpiga Duri in stand-by.
Il partito Chama Cha Mapinduzi (CCM), al potere a Zanzibar e Dodoma, non ha ricevuto le garanzie finanziarie sperate dalla Exim Bank of China, che prevedeva già nel 2013 di finanziare la sua costruzione per un importo di 200 milioni di dollari, forniti dalla China Harbour Engineering Co. Sotto la pressione combinata del governo cinese e delle capitali occidentali, Pechino sta attualmente conducendo una drastica riduzione dei prestiti concessi dalle sue banche di esportazione.
Il progetto portuale di Mangapwani, in competizione con quello di Pechino, sarà finanziato dall’Oman, l’ex potenza che controllava lo Zanzibar, attraverso l’Oman Investment Authority (OIA). Il veicolo finanziario del Sultanato ha moltiplicato le partnership in Africa negli ultimi mesi. Dal 2019, l’OIA è attiva nella lavorazione dell’oro e dell’antimonio, un minerale presente nelle batterie, attraverso il suo impianto Omani Strategic & Precious Metals Processing.
Oltre a ridurre il suo stock africano, la Chinese Exim Bank è stata lenta a convalidare il prestito che avrebbe potuto finanziare Mpiga Duri, poiché la Cina sta aspettando che la Tanzania convalidi un altro progetto portuale di entità completamente diversa – quello di Bagamoyo, non lontano da Dar es Salaam – e la mancanza di progressi su questo tema ha duramente raffreddato i rapporti tra CCM e il Partito Comunista Cinese (PCC) che sono alleati di lunga data. Infatti la Cina – non dimentichiamolo – è il principale fornitore di aiuti esteri della Tanzania, sia per la costruzione di infrastrutture che per l’addestramento e l’equipaggiamento delle Forze di Difesa Popolare della Tanzania (TPDF).
Ad ogni modo, se l’ex presidente si è rifiutato di andare avanti sul progetto del mega-porto di Bagamoyo, l’attuale capo di Stato, Samia Suluhu Hassan, sembra lo abbia rimesso sul tavolo dei negoziati. Proprio per questa ragione il
nuovo ambasciatore cinese, Chen Mingjian, e la China Merchants Holdings (CMH) non si accontenteranno solo di concessioni.
Per quanto riguarda Gibuti, invece, ci sono delle battute d’arresto. La Cina ha appena spedito a Gibuti 60 camion militari del tipo Dongfeng EQ2102 6×6, il primo invio su un totale di 160 unità pianificate. Questo modello, ampiamente utilizzato dall’Esercito di Liberazione Popolare Cinese (PLA), ha lo scopo di equipaggiare la divisione logistica dell’esercito di Gibuti, che è sotto gli ordini del generale Tahir Ali Mohamed. Una dotazione concessa da Pechino, che sta cercando di attirare le grazie dello Stato Maggiore, anche se Gibuti sta attualmente lavorando per reindirizzare la sua cooperazione in materia di sicurezza con i suoi alleati occidentali, in particolare americani e francesi.
Questi ultimi, saldamente presenti a livello militare a Gibuti, sono stati accanto all’unica base cinese stabilita all’estero dal 2017. Si presenta come una testa di ponte armata, come parte della strategia delle nuove vie marittime della seta, essenziali per il commercio tra Cina, Africa ed Europa.
Ma i legami sono sempre più difficili tra il gigante asiatico e Gibuti, principalmente a causa delle tensioni legate al debito del paese verso la Cina. A questo proposito, il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha recentemente bypassato Gibuti come parte del suo tour in Africa orientale, preferendo Eritrea e Kenya.
Dall’anno scorso, poi, è stato dato un freno anche in termini di cooperazione in materia di sicurezza.
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