Che cosa fa, e soprattutto che cosa farà, la Cina davanti alla guerra in Ucraina? Quanto Pechino è oggi vicino a Mosca? Xi Jinping è pronto ad approfittare della debolezza e dell’isolamento di Putin? È forse già in atto un riposizionamento, geoeconomico e geopolitico, della Russia, pilotato proprio dalla Cina? Sono le domande che analisti e osservatori si pongono, perché in queste due settimane di guerra la Cina si è comportata come il convitato di pietra, fedele al suo modo di essere, come testimoniano le parole del premier cinese Li Keqiang: “La Cina segue una politica diplomatica pacifica indipendente. È importante sostenere Ucraina e Russia perché superino le differenze: lavoreremo con la comunità internazionale per evitare l’ulteriore escalation e che la situazione vada del tutto fuori controllo”.
Appunto: come si muoverà la Cina con la Russia? Lo abbiamo chiesto a Giuliano Noci, profondo conoscitore di entrambi i paesi, in qualità di prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano e in virtù del fatto che è stato per otto anni delegato del Rettore per la Federazione Russa. Lunedì Pechino è entrata vistosamente in partita, con l’incontro a Roma tra il capo della diplomazia del Partito comunista Yang Jiechi e il consigliere alla Sicurezza nazionale americano Sullivan.
Nelle dichiarazioni ufficiali, soprattutto negli ultimi giorni, i cinesi si dicono preoccupati per il conflitto in Ucraina. In concreto?
In questo momento la Cina non è per nulla contenta di quanto si sta verificando in Ucraina.
Per quali ragioni?
Pechino è alle prese con una delicata fase di riassestamento economico interno, basti pensare al tema del settore immobiliare, e di tutto ha bisogno meno che di un conflitto che vada a impattare su quello che è l’indispensabile flusso di export con l’Occidente. Bastano due numeri: la Cina ha un interscambio annuo con l’Europa di 800 miliardi di dollari e con gli Usa di 600 miliardi di dollari. In tutto sono 1,5 trilioni, ossia dieci volte tanto l’ammontare annuo, pari a 150 miliardi di dollari, dell’interscambio con la Federazione Russa. Chiunque può facilmente capire come una discontinuità forte non sia adesso sostenibile per la Cina dal punto di vista economico.
Ma dal punto di vista politico il discorso cambia, non crede?
In chiave prospettica, proprio perché possono prevalere sistemi di valore e interessi politici, nel medio periodo, cioè nell’arco di 10-20 anni, andremo sicuramente verso un sistema duale o forse plurale. Ma questi sono i tempi che vuole la Cina, che ragione in ottica 2050, non i tempi che potrebbe imporre la guerra in Ucraina. Pechino non può assolutamente permettersi questa brusca accelerazione, non è per lei tollerabile. Alla Cina questa disruption fa male, anzi, molto male.
E quindi come potrebbe muoversi?
Mi aspetto che Pechino giochi un ruolo di mediatore in questo contesto. La Cina, a differenza della Russia, non ragiona su basi emotive, è molto razionale e, se commette errori, li commette perché è molto lenta. Anche adesso stanno pensando a come gestire questa mediazione, che ovviamente sarà condotta alla cinese.
In che senso?
Non assisteremo a trasmissioni televisive, come è successo in questi giorni in Turchia, per far vedere che ci si siede intorno a un tavolo. La Cina svolgerà un’azione più sotto traccia, dietro le quinte. Non a caso, di giorno in giorno il tenore delle dichiarazioni dei leader cinesi assume sfumature incrementali sempre diverse. Lo stesso Xi Jinping ha dichiarato recentemente di sentirsi fortemente preoccupato.
C’è però chi sostiene che la guerra in Ucraina rappresenta un riposizionamento geoeconomico e geopolitico della Russia pilotato da Pechino. Ipotesi plausibile?
No, chi pensa queste cose non conosce davvero la Cina.
Sta di fatto che Xi Jinping non addossa la colpa a Putin e che i due paesi si stanno sempre più avvicinando.
L’unica cosa che può accomunare nel brevissimo periodo la Cina e la Russia è l’antiamericanismo. Detto questo, non c’è nient’altro.
Davvero?
La Cina è la prima o seconda economia del pianeta ed è un sistema iperconnesso con il mondo; la Russia invece è l’undicesima economia al mondo, meno dell’Italia, e ha un sistema chiuso, di stampo quasi feudale, se non ci fosse l’asset dell’energia. Insomma, hanno interessi contrapposti. E soprattutto oggi la Cina ha bisogno di recuperare parte del credito d’immagine, per esempio verso l’Europa: non può compromettere quegli 800 miliardi di interscambio.
La crescita cinese però trarrebbe enormi vantaggi dall’energia russa. Il mese scorso i due paesi hanno concordato un contratto di 30 anni per la fornitura di gas attraverso un nuovo gasdotto. Solo un’alleanza energetica o c’è di più?
Attenzione a ritenere che Russia e Cina siano amiche per la pelle. C’è sicuramente un elemento di convenienza economica, visto che la Cina acquista tanta energia dalla Russia e per importarne di più i cinesi hanno sottoscritto a febbraio quell’accordo che vale 100 miliardi. Ma servono anni per metterlo in campo, perché vanno costruite le infrastrutture, vanno posati i tubi del gasdotto. Non è qualcosa che si improvvisa. Ripeto: la guerra in Ucraina accelera troppo rispetto al disegno cinese. E a Pechino non va bene. Non credo che, pur mettendo in gioco 100 miliardi, voglia correre il rischio di perdere i trilioni di dollari che ricava dalle sue esportazioni.
La guerra in Ucraina quanto intralcia due progetti strategici importanti per la Cina come la Nuova Via della Seta e Made in China 2025?
Il conflitto dà molto fastidio alla Nuova Via della Seta, visto che per la parte logistica passa in gran parte per l’Eurasia, un’area oggi non cavalcabile. E dal punto di vista politico il progetto è sotto parziale scacco, proprio perché la vulgata fa credere che Russia e Cina siano allineate sulla guerra. Anche per quanto riguarda Made in China 2025 hanno bisogno che questa guerra finisca presto.
A proposito di antiamericanismo, il governo cinese parla esplicitamente di guerra economica scatenata dagli Usa contro Pechino. Che ne pensa?
Sono dichiarazioni che si devono fare, stanno nel gioco delle parti.
La Cina potrebbe ridurre i suoi rapporti con l’economia americana?
Neanche per sogno: la Cina ha bisogno degli Stati Uniti. Se Pechino riuscirà a sistemare il mercato immobiliare, significherà che la ripresa cinese non potrà più basarsi, come in passato, quasi esclusivamente sugli investimenti infrastrutturali. Oggi più che mai ha bisogno paradossalmente di esportare, di essere fortemente interconnessa, tra l’altro in un contesto in cui la domanda interna cinese non sta crescendo, perché c’è un’incertezza percepita troppo elevata da parte delle imprese e delle famiglie. Poi, che il suo progetto sia un disegno di autonomia, è vero, ma non avverrà nel giro di uno o due anni.
Il decoupling in atto in campo economico porterà a una sorta di diarchia? Con quale impatto sulla globalizzazione?
Non diamo per scontati fenomeni che scontati non sono. In un orizzonte di medio periodo questa globalizzazione così aperta, senza controlli e regole, non ci sarà più.
Che cosa la sostituirà?
Ci saranno poli geopolitici e geoeconomici che tra di loro si definiranno delle regole d’ingaggio, ma non più in un quadro di totale interconnessione.
Quanti poli?
Oltre sicuramente agli Stati Uniti e alla Cina, ci saranno altri due poli di cui sarà interessante capire come andranno ad affermarsi. Il terzo polo sarà l’Europa. La guerra in Ucraina sta accelerando processi per cui la Ue, per caso e per necessità, diventa un soggetto politico e in quanto tale non credo che nel medio periodo si ritroverà totalmente allineata agli interessi Usa, ma dovrà trovare un ruolo terzo tra i due maggiori contendenti.
Il quarto polo?
Sarà una sorta di polo satellite, che potrebbe nascere con sistemi di alleanze variabili a cavallo tra la regione pan-araba e l’Africa. Un contesto verso cui tutti stanno guardando e andando e che sarà oggetto di forte competizione fra gli altri tre poli, ma con gli Stati Uniti in arretramento e in forte svantaggio comparato.
Si è dimenticato la Russia? Come uscirà e con quale ruolo dopo questa guerra?
La Federazione Russa è un paese che dal punto di vista socio-tecnico non è mai rinato e ha caratteristiche valoriali e culturali tali per cui fa molta fatica a evolvere verso una dinamicità coerente con il mercato. In più, la visione neoimperialista di Putin potrebbe far sì che il paese possa diventare vassallo di uno dei poli suddetti. Molto probabilmente la Cina, anche perché il baricentro della Russia, dal punto di vista geografico e delle risorse minerarie, che sono il vero asset di Mosca, è spostato verso l’Asia. Il guaio è che Putin in Ucraina ha giocato un all in da cui non può uscire, è prigioniero di questa guerra. Ed è questo adesso il fattore di maggior pericolosità.
(Marco Biscella)
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